LO SCENARIO

Per due anni Bruxelles aveva messo in cantina il rigore, erogato fondi, consentito di far debito. Quella parentesi è finita e sul Pnrr non ci saranno sconti

Il lungo duello sulle concessioni balneari si è concluso ieri mattina, quando Draghi ha messo la destra della maggioranza di fronte alla scelta secca tra il prendere, cioè accettare una mediazione che sugli indennizzi è piuttosto distante dalle loro richieste, o lasciare, cioè trovarsi di fronte al voto di fiducia. L'argomento messo sul piatto dalla bilancia dal premier è stato determinante: la Ue non avrebbe accettato la formula invocata da Lega e Fi, di conseguenza il rischio di procedura d'infrazione sarebbe stato elevato.

Nei prossimi giorni il Parlamento voterà sul dl Aiuti. Fatto salvo lo scontro frontale fra Pd e M5S sul termovalorizzatore a Roma tutti hanno accolto favorevolmente il decreto ma tutti hanno anche segnalato che non basterà. Il governo ha già stanziato una trentina di miliardi di euro per fronteggiare il caro energia, metà dei quali erogati prima della guerra, dunque al netto del peggioramento della situazione bellica e delle sanzioni. Sin qui gli interventi di sostegno non hanno implicato scostamento di bilancio ma è evidente che nuovi aiuti saranno inevitabili e che sarà prima o poi necessario ricorrere al debito, come del resto aveva fatto capire lo stesso ministro Franco quando fu varato il dl Aiuti. Solo che quel passo è forse bloccato o forse solo ostacolato dal sonoro monito europeo della settimana scorsa: no a nuove spese, va al contrario accelerato il rientro dal debito. Ieri il premier ha riunito il governo con un odg a modo suo poco convenzionale: «Fare il punto» sullo stato del Pnrr, sull'avanzamento reale non solo delle riforme ma anche degli investimenti e dell'implementazione concreta dei progetti. Ventiquattro ore prima il capo dello Stato aveva lanciato un appello piuttosto accorato rivolto alle forze politiche ma anche a quelle sociali per far quadrato proprio intorno alla realizzazione del Pnrr.

Dire a che punto siano gli obiettivi del Piano, se e quanto in ritardo rispetto al cronoprogramma concordato con Bruxelles non è possibile. La settimana scorsa Openpolis ha chiesto al governo di fornire dati certi che, in nome della trasparenza permettano a tutti di monitorare l'avanzamento del Piano. Qualcosa è arrivato ma senza sciogliere il nodo perché si tratta di dati parziali, non disaggregati a seconda del territorio, fermi alla fine dell'anno scorso. Di certo la sensazione che restituiscono sia l'irrigidimento di Draghi che gli umori nei palazzi della politica è quella di una marcia che sta segnando il passo, ancor più che sul fronte delle riforme su quello dei progetti e della loro tempestiva attuazione.

Anche in questo caso il problema rinvia ai rapporti con la Ue. La Commissione ha infatti deciso di prorogare per un altro anno, sino al 2024, la sospensione del Patto di Stabilità, ma allo stesso tempo ha chiarito che userà i controlli sul Pnrr con finalità non molto diversa da quella del Patto. Se la strategia italiana, come più volte affermato da Draghi, passa per il puntare sulla crescita invece che sui tagli per garantire il rientro sul debito, la commissione intende tenere sotto sorveglianza stretta l'uso italiano dello strumento che quella crescita dovrebbe garantire, cioè il Pnrr e la sua attuazione.

È significativo però che la Ue non limiti le sue Raccomandazioni alle voci direttamente inserite nel Piano. Le concessioni balenari, ad esempio, non c'entrano col Pnrr ma con la direttiva Bolkenstein sì. Non figura tra gli obiettivi del Pnrr neppure la riforma del catasto, altro nodo della discordia, e tuttavia il commissario Gentiloni non ha esitato a calcare la mano chiedendo non solo di procedere con la riforma ma anche di adeguare gli oneri fiscali ai valori catastali reali: proprio quel che la destra della maggioranza vuole a ogni costo evitare.

La soma di questi elementi, accumulatisi tutti nell'ultima settimana, disegna un quadro nitido e preciso: la lunga tregua dovuta alla crisi Covid è finita. Per due anni la Ue aveva abdicato al proprio ruolo di severo controllo, aveva messo in cantina il rigore, erogato fondi, consentito di far debito a volontà. Quella parentesi è finita. Non significa che si tornerà alle stesse politiche rigoriste e miopi precedenti anche se un accordo sulla ridefinizione dei parametri pare ancora lontano ma le briglie sono molto più corte che negli ultimi due anni ed è con questa realtà che il governo e l'Italia devono confrontarsi. Non è una sorpresa. Era scritto e previsto. Quel che non era né scritto né previsto era che ciò dovesse verificarsi in una fase molto diversa da quella preventivata, cioè a fronte di una nuova e pesantissima crisi.