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Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, detenuto agli arresti domiciliari
Questa volta la linea del Piave è passata di mano, dalla magistratura alla politica. Non c’è più il procuratore Borrelli con il suo “resistere resistere” nei confronti di Silvio Berlusconi, ma uno strano soldato di nome Giovanni Toti che sta fronteggiando a testa alta pubblici ministeri e giudici uniti nella lotta.
Il governatore della Liguria, benché agli arresti dal 7 maggio per l’infamante reato di corruzione, non si dimette, continua a comportarsi come soggetto politico, ingombrante ma sostenuto da una maggioranza di centrodestra la quale, al contrario di quanto farebbero la sinistra di Elly Schlein o i grillini di Giuseppe Conte, si mantiene stretta al fianco del suo Presidente. Per una questione, prima di tutto, di rispetto dei cittadini elettori.
Così a essere disorientati paiono oggi i magistrati, che si ritrovano nella strana situazione di un palcoscenico illuminato a giorno, guardati e tenuti d’occhio, per una volta loro stessi, al cospetto di un’opinione pubblica che si pone domande. La più importante: per quale motivo Giovanni Toti, a cinquanta giorni dall’arresto, a inchiesta nei fatti terminata con gli interrogatori degli indagati e una sfilata di testimoni che non hanno modificato il quadro accusatorio, è ancora un detenuto?
A maggior ragione, dal momento che può ricevere nella sua prigione domestica sia gli assessori della sua giunta che i segretari politici regionali dei partiti che lo sostengono e infine i suoi referenti nazionali e parlamentari. Anche perché, a meno che la casa del governatore e della sua famiglia nel comune di Ameglia, provincia di La Spezia, non sia tappezzata di cimici e i cellulari dei suoi interlocutori, compresi quelli di due parlamentari, non siano abitati dai trojan, il contentino “umanitario” concesso dalla giudice Paola Faggioni contraddice l’immagine di pericolosità dell’indagato che i magistrati hanno voluto sottolineare fin dal primo momento.
Ma stanno giocando con il fuoco le toghe genovesi, cioè con la Costituzione. Non solo con la presunzione di non colpevolezza prevista dall’articolo 27, supportata dalle condizioni stringenti previste dal codice di procedura penale per quel che riguarda la custodia cautelare sulla privazione della libertà. Perché occorre che le motivazioni siano concrete e attuali, oltre che indispensabili, quando la situazione sia di tale gravità da impedire provvedimenti più lievi e alternativi. Ma la Costituzione va chiamata in causa anche per quel che riguarda la possibilità, per chi ricopra cariche elettive, di esercitare la funzione cui è stato delegato dai cittadini.
E sono proprio le motivazioni addotte dalle due ordinanze della stessa giudice Paola Faggioni, in sintonia con il parere della procura, a suscitare dubbi. Perché l’argomento forte ormai non è più tanto il pericolo di inquinamento della prova, visto che ormai tutte le persone informate sulle vicende oggetto dell’inchiesta sono state sentite dai pm e non corrono più il rischio di venire influenzate. Il punto vero dell’accusa è invece individuato nel pericolo che il governatore Toti possa ripetere il reato, facendosi corrompere da investitori privati nelle prossime tornate elettorali.
E’ questo il centro focale dell’inchiesta, ed è anche il punto debole della procura, fatto proprio anche dalla gip. Prima di tutto perché induce il dubbio che, quanto meno dal 2021, i magistrati, prima di La Spezia e poi di Genova, dopo aver individuato il “sistema” di corruzione elettorale del presidente della Regione Liguria, gli abbiano consentito di continuare a delinquere senza sentire l’obbligo di fermarlo. Omissione di atti d’ufficio, si chiama, ed è un reato.
L’elenco delle occasioni di messa in campo del “sistema” della corruzione è esplicitato nell’ordinanza con cui la giudice ha respinto la richiesta di revoca degli arresti domiciliari presentata dall’avvocato Stefano Savi, legale di Toti. Si parte dalle amministrative di Savona dell’ottobre 2021 e poi quelle di Genova del giugno 2022 fino alle politiche del settembre dello stesso anno, e poi ancora amministrative di Sarzana e Ventimiglia dl maggio 2023. In tutte queste occasioni avrebbe funzionato il “sistema Toti”, consistito nel raccogliere finanziamenti privati per la propria lista o per aiutare alcuni candidati, come per esempio il sindaco di Genova Marco Bucci. Contributi regolarmente denunciati, a norma di legge.
Nel corso di tutte queste campagne elettorali il governatore è stato controllato e intercettato, anche quando era seguito dalla scorta. Ma se i magistrati gli hanno messo le manette domestiche il 7 maggio scorso, scriveva la giudice nell’ordinanza che disponeva la custodia cautelare, è stato nella previsione della campagna elettorale per le scorse europee dell’8 e 9 giugno. Al termine delle quali, all’immediata richiesta di revoca del provvedimento, la seconda ordinanza spostava l’orologio alla scadenza delle prossime regionali del 2025.
Ed è qui che si sta veramente scherzando con il fuoco sacro della Costituzione. Perché si sta creando una situazione di decadenza di fatto del ruolo di Presidente della Regione, visto che Giovanni Toti, contentini domiciliari a parte, è impedito a svolgere il ruolo per cui è stato eletto almeno fino al settembre 2025, alla prossima scadenza delle elezioni regionali. I magistrati gli stanno quindi applicando, comunque mascherata, una misura interdittiva vietata dalla legge? Oppure una decadenza di fatto non prevista neppure dalla legge Severino?
Se a questo si aggiungono tutte le altre perplessità suscitate da questa inchiesta, dalla partenza come indagine “antimafia”, ipotesi che si sta liquefacendo dopo ogni interrogatorio, fino all’uso dell’aggravante dell’articolo 416 bis come grimaldello per lavorare su intercettazioni e tempi di prescrizione, si comprende quanto la maggioranza politica che regge la Liguria e lo stesso governatore Toti si sentano legittimati a questa nuova inedita forma di resistenza di borrelliana memoria.
Ma c’è un altro punto critico, sollevato nei giorni scorsi dai quotidiani più allineati e ispirato dalla procura. L’ipotesi di saltare l’udienza preliminare e andare subito a processo, con il rito immediato con gli indagati-imputati ancora ristretti. I requisiti, prima di tutto le prove “evidenti”, secondo i pm ci sarebbero. Ma ci sono anche le tante vociferazioni del palazzo di giustizia di Genova, perché verrebbe in questo modo scavalcato un gup, il giudice dell’udienza preliminare, che potrebbe non essere troppo acquiescente, pur in assenza di separazione dele carriere, rispetto alle aspettative della procura.
Vociferazioni, certo, ma le tabelle dei turni dei giudici sono conosciute. Così come si conoscono già i nomi dei tre giudici che costituiranno il tribunale del riesame. I prossimi a giudicare, prima dell’eventuale cassazione che avrà anche il vantaggio dei 500 chilometri di distanza tra Roma e Genova, il “caso Toti” e questa strana inchiesta in cui la linea del Piave è passata dall’accusa alla difesa.