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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA
«Nessun potere dello Stato – nessuno - è immune da vincoli e controlli». Non lo è la politica, ma nemmeno la magistratura. A ricordarlo è stato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando i magistrati ordinari in tirocinio. Mattarella ha sottolineato che «il raggio di azione dell’intervento giudiziario» trova il proprio confine nella «disposizione normativa». E la magistratura deve, con «indipendenza e autonomia», decidere «in modo imparziale, senza influenze o condizionamenti, anche derivanti da eventuali pregiudizi personali».
Per garantire «credibilità» alla funzione giudiziaria sono necessari «qualificazione professionale, rispetto puntuale della deontologia, irreprensibilità dei comportamenti individuali». C’è, quindi, «il dovere di essere e di apparire – apparire ed essere - irreprensibili e imparziali, in ogni contesto (anche nell’uso dei social media); con la consapevolezza che, nei casi in cui viene - fondatamente - posto in discussione il comportamento di un magistrato, ne può risultare compromessa la credibilità della magistratura».
Servono, insomma, «rigore morale e professionalità elevata», che rappresentano la risposta «più efficace ad attacchi strumentali intentati per cercare di indebolire il ruolo e la funzione della giurisdizione e di rendere inopportunamente alta la tensione tra le istituzioni». Un accenno, dunque, alle tensioni attualmente in corso tra magistratura e politica. La legittimazione della magistratura risiede nella fiducia dei cittadini, fiducia, ha evidenziato Mattarella, che «non va confusa con consenso popolare sulle sue decisioni». Ed è per questo motivo che l’accertamento dei fatti e l’affermazione del diritto non devono «subire alcuna influenza o ricercare approvazioni esterne».
Le decisioni vanno dunque correttamente motivate, non solo per consentirne la valutazione alle parti, ma all’intera collettività. Così come dev’essere un obiettivo la coerenza giurisprudenziale nell’interpretazione delle norme, la prevedibilità delle decisioni. La stessa decisione giudiziale, ha sottolineato, «non è espressione di un potere assoluto: è sottoposta a verifiche, a controlli, a riesami, per garantirne la conformità all’ordinamento e alle sue leggi». E «rientra nel dovere di garantire attuazione al principio di uguaglianza, dettato dall’articolo 3 della Costituzione, assicurando la parità di trattamento tra casi simili - ha dunque aggiunto -. Centrale è, in tal senso, il ruolo nomofilattico della Corte di Cassazione, e il compito di orientamento delle Corti europee». Un richiamo alle fonti internazionali che, ha detto il Capo dello Stato, consentono di delineare un orizzonte più ampio «entro il quale realizzare la tutela interna dei diritti, oltre a consentire il progressivo avvicinamento delle legislazioni nazionali nella sempre più necessaria comune dimensione europea».
A intervenire anche il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, che nel suo intervento ha sottolineato come autonomia, indipendenza e imparzialità «devono essere costruiti giorno dopo giorno, mai dati per scontati o per definitivamente acquisiti, bensì guadagnati sul campo». Per farlo è necessario «adottare metodologicamente uno status psicologico che sia pregno della cultura del dubbio», la capacità «di mettere in discussione i propri convincimenti, le proprie tesi, essere capaci di fare un passo indietro».
Ma serve soprattutto competenza, presupposto di autonomia, indipendenza e imparzialità del magistrato: «La competenza consente al magistrato di resistere ai condizionamenti e alla tentazione di individuare il colpevole prima del giudizio, alla suggestione della giustizia senza processo. Battetevi con postura ferma con i provocatori di processi paralleli fuori dalle aule dei tribunali», ha affermato Pinelli. Che ha poi ricordato i «limiti» da rispettare: «Il magistrato - ha evidenziato - non è un’autorità morale del Paese e non deve mai confondere etica e diritto, accerta responsabilità individuali o dirime controversie tra parti private tutelandone i diritti fondamentali; non è invece portatore di generali valutazioni sui fenomeni sociali onde correggerli o indirizzarli, non ha potere di rappresentanza (è questo il fondamento costituzionale della sua “inamovibilità”), ma semmai “una competenza” da mettere al servizio degli attori istituzionali anche nell’ottica di contribuire a costruire, nell’interesse del Paese, un miglior “sistema giustizia”, cioè una giustizia per tutti». Un chiaro invito ad evitare la politicizzazione della toga.