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LaPresse
Quattro settembre 2003, l’allora premier Silvio Berlusconi tuonò: «I giudici sono matti, sono mentalmente disturbati, hanno turbe psichiche e sono antropologicamente diversi dalla razza umana », scatenando l’ira dell’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che sconfessò il presidente del Consiglio e ribadì piena fiducia alla magistratura. Il presidente del tempo dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati, convocò in via d’urgenza la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati.
3 marzo 2024: il “parlamentino” dell’Anm licenzia all’unanimità, a proposito della proposta del governo Meloni di introdurre test psico-attitudinali per i nuovi magistrati, un documento in cui si legge che «sembra evidente la volontà di riproporre uno scontro con la magistratura, di riaccendere un clima conflittuale, gravemente dannoso per i cittadini. Esattamente quello che non vuole la magistratura».
Insomma in ventuno anni sembra - con le dovute differenze - che la storia si ripeta. Siamo ancora a un conflitto tra esecutivo e toghe in merito alla possibilità, legittimità, praticabilità e opportunità di procedere a una individuazione dei futuri magistrati non solo su base culturale, curriculare e tecnicistica, ma anche sulla base del riscontro di qualità personali. La riforma Castelli del 2005, quando era sempre presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, prevedeva che l’aspirante toga «debba essere positivamente valutato nei test di idoneità psico-attitudinali all’esercizio della professione di magistrato in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione».
Il test avrebbe dovuto quindi anche stabilire se l’aspirante toga fosse più adatta a fare parte della magistratura giudicante o di quella requirente. Fu proprio l’ex ministro della Giustizia Nitto Palma, deputato di Forza Italia nella XIV Legislatura quando si discuteva della Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario, a motivare l’iniziativa, quale relatore del provvedimento in Commissione, con lo scopo di «garantire l'assunzione di magistrati con capacità adeguate ai delicati compiti da svolgere». La previsione fu accantonata con il parere negativo anche della Società Psicoanalitica Italiana: «Noi esprimiamo la più decisa contrarietà, disapprovazione e preoccupazione per quanto previsto dal succitato articolo. La nostra critica è soprattutto “tecnica”. Il Disegno di legge sembra infatti proporre una forma di valutazione predittiva psicologico-psichiatrica del futuro magistrato, nella presupposizione di una capacità “scientifica” e tecnica di discriminare, attraverso test e colloqui, la specifica “idoneità psicoattitudinale” degli aspiranti magistrati, addirittura in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione. È doveroso chiarire che nessun tecnico, anche soltanto minimamente competente in materia, saprebbe in coscienza avallare una simile supposizione o presunzione».
La proposta fu poi rivisitata dal successore di Roberto Castelli, Clemente Mastella, ma non se ne fece più nulla. Anche in Francia negli anni si accese un grosso dibattito e i test furono introdotti nel 2009 per rispondere allo scandalo dell’affaire Outreau, procedimento penale riguardante atti di violenza sessuale su minori avvenuti tra il 1997 e il 2000, nonché caso di errore giudiziario legato in particolare alla custodia cautelare tra il 2001 e il 2004.
Il caso si concluse con quattro condanne definitive e l'assoluzione di tredici dei diciassette imputati, molti dei quali erano stati in carcere per diversi anni. La vicenda portò ad un forte discredito della magistratura e da lì furono aperte commissioni di inchiesta e introdotti i test. Tuttavia nel 2017 furono aboliti quelli attitudinali e di personalità per l’ammissione alla Scuola Nazionale della Magistratura, come ha ricordato il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia, nell’ultimo parlamentino dell’Anm, citando un articolo di Questione Giustizia dal titolo “L’Ecole nationale de la magistrature, attraverso mezzo secolo di storia: risultati, sfide, prospettive” dove si leggeva: «I test psicologici – disse un presidente onorario della Corte d’Appello - si sono connotati per totale mancanza di serietà, potenzialità di sviamento, inutilità e pericolosità, avendo la pratica dimostrato una certa tendenza ad uniformare le personalità, che si manifesta con domande molto invadenti sulla vita privata dei richiedenti e giudizi affrettati e stereotipati. Di certo, detti test non meritano di avere spazio nel sistema di reclutamento. Sebbene, a quanto pare, la commissione non ne tenga conto, essi sono percepiti come disagi illegittimi imposti ai candidati già notevolmente stressati dalle difficoltà di un concorso iper selettivo. I guasti così prodotti, dunque, rimangono. Questa inadeguatezza è ancor più evidente laddove si consideri che la prova orale, come attuata oggi, davanti a una giuria più aperta rispetto al passato (comprendente, in particolare, uno psicologo), si concentra principalmente sul percorso del candidato, le sue motivazioni, la sua personalità e le sue esperienze, ciò che appare ampiamente sufficiente ad individuare i candidati non idonei all’esercizio della professione di magistrato. Nella lettera sopra citata il SM ha insistito sulla necessità della loro abolizione».
Di parere diverso, come espresso pochi giorni al Dubbio, quello di Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di Salute mentale e dipendenze patologiche dell’Ausl di Modena e presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica (Siep), secondo il quale «chi svolge un’attività con grandi responsabilità, come appunto i magistrati, non dovrebbe temere il test». Si apre dunque l'indagine tra i rapporti fra scienza e magistratura.