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Avere cura. È questa la cultura. Di cosa? Dei templi che costruiamo perché durino nel tempo. Chi li costruisce. Nessuno, di individuale, ognuno di partecipe, ancorché non necessario e nemmeno sufficiente, di un percorso che si chiama sviluppo delle istituzioni dello Stato di diritto. Che non valgono nella e per la dimensione individuale, valgono per la dimensione impersonale, anche se vivono attraverso il fare ed il pensare delle persone.
Quali persone? In particolare, quelle che danno vita ai ruoli istituzionali impegnati nella affermazione del principio della supremazia del governo delle regole, prima che della arbitrarietà.
Parole, ma non proprio. In tempi di rivoluzione copernicana le parole e i pensieri possono dare forma a bussole e sono importanti. La giurisdizione, ma soprattutto la sua alta cultura, ne è radice e nutrimento, quando si parla di tutela dei diritti, di bilanciamento e, dunque, di argini e perimetri dati all’esercizio del potere. Ecco perché la giurisdizione può essere spazio di creazione e di cura di una alta cultura, quella dello Stato di diritto che agisce nel tempo. L’alta cultura si qualifica per la sua capacità di non prestarsi a negoziazioni distorsive del rigore concettuale ancor prima che scientifico-empirico.
L’alta cultura si qualifica per la sua capacità di vivere come bene comune, non rivale, la cui fruizione è possibile e foriera di significati condivisi, al di là dei perimetri funzionali nei quali essa trova la sua ratio nascendi.
L’alta cultura si qualifica per la capacità generativa non tanto di soluzioni quanto di lenti. Trattasi di “lenti bifocali” perché al loro interno si combina la consapevolezza del limite epistemologico del sapere con la postura di proiettarsi già in un futuro che, da quel limite, osa uscire avvalendosi di tutti i bilanciamenti che attengono al metodo del contraddittorio, della dialettica, della evolutività e della collegialità.
La giurisdizione, in particolare nella sua voce istituzionale alta, espressione di una esperienza istituzionale vissuta nel rito, espressa nella parola, sublimata nel pensiero intriso di scienze del diritto – al plurale – può molto nell’anno che verrà.
Può porsi come fonte di euristiche che aiutino la comprensione delle dinamiche di evoluzione della società, in particolare laddove la norma incontra il caso e la sua singolarità e con questa si confronta chiedendo un metodo evolutivo, comunque aperto, mai determinato ex ante dai formanti del diritto positivo.
Può porsi come spazio di riflessione ed elaborazione della visione che ispira, a partire da una terzietà che è garanzia, la declinazione, nella normatività, di vincoli e opportunità, orientamenti e accenti del diritto che risponde alla domanda di una società che di diritto chiede forme sempre più diversificate, ma anche sempre più intelligibili. Può porsi come voce che rimette al centro dal vivere concreto dello Stato di diritto democratico il valore demiurgico delle parole, che nella giurisdizione “fanno le cose”, come atto performativo. Le istanze istituzionali terze sono state storicamente sempre caricate di aspettative e di funzioni legate alla necessaria garanzia che la società e le persone chiedono nelle fasi di trasformazione e di salto di paradigma. Che di salto di paradigma si tratti ciò che oggi stiamo vivendo appare chiaro. Ma diciamolo scomodando parole importanti. Ciò che si trasforma è la organizzazione e la ivi inclusa forma legittimante dell’esercizio del potere, nei suoi assetti differenziati e diversamente legittimati.
Non si tratta di una questione per pochi studiosi di ingegneria istituzionale. Si tratta della domanda che scuote alla base la società del XXI secolo. La cultura è il primo argine nel limitare in modo riflessivo e costituzionalmente orientato l’esercizio del potere, qualsiasi forma di potere, anche quello del sistema giustizia. Coltivare la razionalità riflessiva ancorandola alla storia e potenziandola con linguaggi plurali e attenti alle scoperte scientifiche e tecniche permette di rafforzare le garanzie non come forme architetturali dell’ordinamento ma come principi di orientamento del comportamento e dell’azione.
La cultura è la radice e la garanzia di distanziamento e pensiero critico. Farsi promotrice della elaborazione e nella diffusione di questo bene intangibile è nella missione e nei valori della giurisdizione.
Sia la giurisdizione, con il precipitato di contenuti e di significanti che essa porta dentro, con la capacità di costruire templi destinati a durare, attore, spazio e voce di alta cultura dell’anno che verrà. Con la ricerca, con la formazione, con la comunicazione istituzionale. Ne beneficerà la fiducia del cittadino nel diritto. Ne beneficeranno il diritto e la democrazia.