La Giunta per le autorizzazioni della Camera dice no al sequestro della corrispondenza dei deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi e dell’ex deputato Luca Lotti. Boschi e Lotti sono imputati nell’inchiesta Open assieme, tra gli altri, al senatore e leader di Italia Viva Matteo Renzi, che ha incassato la stessa pronuncia dal Senato. E contro di loro, stando alla relazione di Enrico Costa, approvata col voto favorevole di tutti i partiti - ad eccezione del M5S - ci sarebbero chiari indizi di «fumus persecutionis», a partire dal tentativo reiterato di considerare utilizzabile materiale sequestrato, secondo diverse pronunce della Cassazione, in maniera illegittima. A fare da base alla decisione sono proprio le pronunce della Suprema Corte, depositate tra il 2020 e il 2022, che tutti i gruppi hanno convenuto di acquisire.

Costa ha formulato la proposta di diniego sulla base di tre motivi. In primo luogo, la richiesta di autorizzazione al sequestro è postuma, in quanto trasmessa alla Camera solo dopo che chat e mail erano state estratte dai dispositivi di terzi soggetti coinvolti nelle indagini e dopo il loro deposito in fase di udienza preliminare, in violazione di quanto stabilisce l’articolo 4 della legge 140 del 2003. La richiesta presenterebbe, inoltre, «chiari indizi di fumus persecutionis nei confronti dei deputati interessati» e non sarebbe ispirata all’esigenza del «sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare» richiesto dalla giurisprudenza costituzionale.

Secondo quanto stabilito dalla Consulta, l’autorità giudiziaria è tenuta a chiedere l’autorizzazione alla Camera competenti prima di eseguire il sequestro, sospendendo le operazioni una volta accertata la presenza di corrispondenza con parlamentari, «non essendo prevista né dalla legge né dalla Costituzione la possibilità di un’autorizzazione successiva», riconosciuta invece dall’articolo 6 della legge 140 del 2003 dolo con riguardo alle cosiddette intercettazioni casuali. La richiesta di autorizzazione inviata dal gup presso il Tribunale di Firenze, secondo la Giunta, si porrebbe «al di fuori del quadro costituzionale», in quanto nella richiesta lo stesso gup afferma espressamente che la corrispondenza di Bonifazi, Boschi e Lotti «è già stata estratta dai dispositivi elettronici sequestrati ai terzi» ed è già stata trasmessa dai pubblici ministeri al giudice unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio. Quel materiale, dunque, fa parte del fascicolo dell’udienza preliminare e ciò che viene chiesto è, in buona sostanza, l'autorizzazione ad utilizzare processualmente documentazione che non poteva essere estratta. Insomma, una sorta di «autorizzazione in sanatoria».

Per Costa, però, è ravvisabile anche il fumus persecutionis, in quanto, in tre sentenze pronunciate una di seguito all’altra, la Cassazione ha già bocciato l’ipotesi accusatoria - ovvero illecito finanziamento ai partiti -, annullando analoghi decreti di sequestro probatorio per manifesta sproporzione e perché caratterizzati da finalità meramente esplorative, sempre nell’ambito dell’inchiesta Open. Sentenze nelle quali la Suprema Corte ha evidenziato inoltre che la procura non ha adeguatamente provato uno dei pilastri fondamentali dell’accusa, ovvero che la Fondazione Open fosse una articolazione politico-organizzativa di partito, così come il carattere illecito del finanziamento erogato alla Fondazione Open. Insomma, la presenza del fumus sarebbe dimostrata dal fatto che l’Autorità giudiziaria procedente ha posto a fondamento della propria richiesta «il medesimo impianto accusatorio che è già stato reiteratamente censurato dalla Corte di cassazione», chiedendo inoltre «di avallare (peraltro ex post) l’esecuzione di un sequestro analogo a quelli che, nell’ambito della medesima inchiesta, già sono stati qualificati dalla medesima Corte di legittimità come sproporzionati e caratterizzati dalla presenza di finalità meramente esplorative, cioè di ricerca di altre notizie di reato».

Inoltre, nella richiesta non viene considerata minimamente l’incidenza della misura «sul libero esercizio del mandato parlamentare». Pur chiedendo di essere autorizzato a sequestrare un enorme numero di comunicazioni riguardanti deputati (circa 4.200), infatti, «il gup presso il Tribunale di Firenze sembra dare per scontato – in quanto sul punto non fornisce motivazione alcuna – che l’interesse sotteso alle esigenze investigative e probatorie dell’Autorità giudiziaria debba prevalere, integralmente e automaticamente, su quello al libero e indipendente svolgimento del mandato parlamentare». Un assunto inaccettabile per la Giunta. La palla, ora, passa a Montecitorio.