RETROSCENA

Le certezze atlantiste di Pd e FdI, favorevoli all’invio di armi. E i dubbi “prudenti” di Lega e 5S

Draghi fa il possibile per restituire al mondo, e soprattutto agli Usa, l'immagine di un'Italia granitica, schierata in alto e in basso, tra i rappresentanti e i rappresentati, a favore della linea Nato- Ue, pronta a pagare senza batter ciglio i prezzi assai elevati delle sanzioni contro la Russia. Deve farlo. L'aura di sospetto che circonda il belpaese all'estero, la tendenza a considerarlo ' l'anello debole' è un handicap che già penalizza l'Italia a Bruxelles e nella Nato. Lo stesso Draghi ha involontariamente contribuito a diffondere quel clima di sospetto, con i dubbi dei primi giorni sull'opportunità di varare sanzioni destinate a incidere sulla ripresa post- Covid. Dunque ora non può che tenere altissima la bandiera e assicurare che tutto il Paese lo segue, in Parlamento come al mercato e nei bar.

La realtà è diversa e potrebbe col tempo diventare molto diversa. Quei 300 parlamentari che non si sono presentati a Montecitorio per ascoltare e applaudire Zelensky sono uno scricchiolio il cui significato non è equivocabile. In Parlamento una linea separa i falchi dalle colombe, anche se queste ultime si limitano per ora a inviare segnali discreti senza esporsi apertamente. È una linea del fronte trasversale, che non coincide con quella che delinea la composita maggioranza e l'esigua ( in Parlamento ma non nei sondaggi) opposizione. Il falco più agguerrito è Enrico Letta. Nessuno come il segretario del Pd si è esposto a favore della linea durissima, al punto di non escludere neppure quell'embargo su gas e petrolio russi che per l'Italia sarebbe fatale.

Fa una certa impressione ritrovarsi il solitamente mite Letta, con quell'aria un po' democristiana, nei panni di un Rambo o di un Patton ma il mistero è facilmente spiegato. Il leader del Pd coglie l'occasione della crisi ucraina per mettere in campo la sua candidatura alla successione di Draghi. Da un lato la linea dura serve a dimostrare la solidità della sua presa su alleati ben meno affidabili agli occhi di Washington, come i 5S o quel che resta di LeU. Ma dall'altro la campagna vale ad accreditarlo come leader di accertata lealtà e pronto a tutto nelle valutazioni della Casa Bianca, il cui peso nelle vicissitudini politiche italiane è tornato a essere determinante. Nella caduta del governo Conte 2 lo zampino di Washington è spuntato dicerto, e probabilmente ha avuto un peso rilevante.

A sorpresa, la sola leader attestata sulle stesse rapaci posizioni, oltre a Matteo Renzi, è il capo dell'opposizione, Giorgia Meloni, proprio quella che sino a poche settimane fa stravedeva per Putin «difensore della cristianità». Non è questione di coda di paglia, o non solo. È che nessuno più della leader di FdI è consapevole di aver bisogno di uno sdoganamento ad altissimo livello per poter ambire alla guida del governo, anche ove dovesse risultare capo del partito più votato. Nel falò ucraino non bruciano solo le amorevoli pagine del suo libro dedicate a Putin ma l'intera confessione di fede populista. Non che Meloni voglia e possa rinnegarla per intero: chiarisce però che c'è una rassicurante linea di confine oltre la quale non si spingerebbe mai.

Dall'altra parte di quella linea trasversale ci sono i 5S, o almeno una vastissima area pentastellata che non si riconosce nella linea rigida del ministro degli Esteri Di Maio, la Lega e LeU. Nessuno, per ora, mette in discussione le sanzioni. Le frecciate si appuntano sulla fornitura di armi, criticata velatamente da Salvini ma mai revocata in dubbio, e su una questione solo apparentemente collaterale: l'aumento sino al 2 per cento di Pil delle spese militari. Alla Camera l'odg era stato votato da tutti. Lega e 5S, ma presto anche LeU, hanno cambiato idea. Quando il dl Ucraina arriverà al Senato l'odg non sarà ripresentato oppure sarà accompagnato da un altro odg dei 5S che chiede di investire prima nel sostegno alla popolazione colpita dalla crisi e solo una volta coperte quelle spese aumentare, eventualmente, quelle militari. Gli odg, si sa, significano ben poco. Ma è stato proprio Draghi, ieri, a confermare l'intenzione del governo di procedere con quell'aumento.

Sul confine tra i due non dichiarati ma effettivi schieramenti si colloca Fi: il partito e a maggior ragione la sa delegazione al governo è del tutto solidale con le posizioni di Draghi ma Berlusconi è il solo leader, Salvini incluso, a non aver criticato l'amico Putin e se quella del Cavaliere potrebbe rimanere una posizione solitaria, dettata dai rapporti personali con il leader russo, a seconda delle circostanze potrebbe anche essere imposta, come il fondatore è ancora in grado di fare, al partito intero, con l'eccezione dei ministri.

Ma in realtà tutto, non solo la posizione azzurra, dipenderà dalle circostanze, dalle evoluzioni della crisi sui fronti militare e diplomatico ma anche moltissimo dalle reazioni dell'opinione pubblica agli effetti della crisi. I sondaggi dicono che già oggi la maggioranza degli italiani è poco convinta dalla scelta di fornire armi all'Ucraina. Il peso delle sanzioni potrebbe dar montare un clima sfavorevole a uno schieramento così drastico contro la Russia. Con le elezioni dietro l'angolo difficilmente i partiti potrebbero non tenerne conto.