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Che fine ha fatto l’indagine sulla fuga di notizie che caratterizzò la prima fase del Palamaragate a maggio del 2019 e poi denunciata dal diretto interessato? Quando si parla di fughe di notizie, la memoria non può andare al caso che ha coinvolto l’ex consigliere del Csm. Perché è un caso che ribalta, per una volta, i termini: le “vittime” della fuga di notizie, questa volta, sono i magistrati. E i giornalisti, cassetta delle lettere di una manina rimasta ignota, veri e propri cecchini, come li definì lo stesso zar delle nomine.
Venti giorni dopo la famigerata cena all’Hotel Champagne del 9 maggio 2019 - durante la quale si discusse del futuro della procura di Roma - infatti, i tre più importanti quotidiani del Paese cominciarono a pubblicare, a ritmo quotidiano, intercettazioni che non erano state depositate presso i difensori e arrivate al Csm soltanto il 3 giugno successivo. La pubblicazione di quelle intercettazione determinò le dimissioni di cinque consiglieri del Csm, anche se non indagati, presenti alla cena con Palamara per ragioni del tutto estranee all’indagine - che mirava a scoperchiare una corruzione poi depennata dalle accuse -, facendo saltare anche la nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma. Su quella fuga di notizie, Palamara ha provato a vederci chiaro.
Con un esposto a Firenze competente per i reati commessi da o a danno dei magistrati di Perugia, che svolgevano l’inchiesta su di lui - per capire come fosse stato possibile far finire sui giornali atti segreti. E il giudice per le indagini preliminari di Firenze Sara Farini, con un provvedimento datato 27 gennaio 2021, quindi successivo all’entrata in vigore della legge Orlando, ha testualmente affermato che «sussiste senza dubbio il fumus commissi delicti del reato in iscrizione, considerata la circostanza - non controversa alla luce della documentazione prodotta dal denunciante e dalla scansione temporale dei fatti riferita in querela - della pubblicazione su varie testate giornalistiche di notizie ancora coperte da segreto investigativo. Appare dunque configurabile la fattispecie di cui all'art. 326 c.p.: vi è stata una condotta di illecita rivelazione di dette notizie da parte di un pubblico ufficiale, allo stato non identificato, che, avvalendosi illegittimamente di notizie non comunicabili in quanto coperte dal segreto investigativo, riferibili ad atti depositati presso la Procura della Repubblica di Perugia, le ha indebitamente propalate all'esterno».
Ma chi avrebbe dovuto accertare l’autore di quel reato non ha mosso dito. A dirlo è sempre la giudice Farini: «Ad oggi - si legge ancora in quel provvedimento - non risultano infatti compiuti atti di indagine volti quantomeno a circoscrivere la platea di soggetti che possono essere venuti in contatto con le notizie segrete indebitamente propalate all'esterno della Procura della Repubblica di Perugia». Ebbene a distanza di oltre due anni dal provvedimento firmato Farini nulla si è mosso a Firenze. A conferma di quanto denunciato dalle colonne del Dubbio: nessuno, a memoria, ha mai voluto ficcare il naso nel mercato nero degli atti coperti. Basterebbe applicare la legge, per depotenziarlo, ma a farlo dovrebbe essere la magistratura. Che, in teoria, dovrebbe sentirsi danneggiata dalle fughe in avanti spesso provocate dalla stampa. Ma è un falso problema, dato che toccherebbe trovare una risposta alla seguente domanda: chi consegna ai giornalisti atti segreti?
Nella vicenda Palamara le fughe di notizie non si limitano, però, solo all’Hotel Champagne. Nella clamorosa vicenda dei verbali della Loggia Ungheria, infatti, si trovò comunque il modo di virare sull’ex magistrato. Come? Con la richiesta di archiviazione delle indagini, un corposo documento che la procura di Perugia aveva deciso di tenere segreto dati gli spunti investigativi comunque offerti dal traballante pentito Piero Amara. Ma ancora una volta, scientificamente, gli stessi giornali del 2019 pubblicarono le notizie relative proprio a Palamara. La procura trovò subito il presunto colpevole: un funzionario, che avrebbe scaricato illegittimamente l’atto passando a giornalisti amici.
Un’idea che non convinse del tutto l’ex presidente dell’Anm, costretto a bussare nuovamente alla procura di Firenze per cercare la verità. Tutto fa pensare ad un disegno unico, finalizzato a colpire l’ex consigliere del Csm, depositario, forse, di troppi segreti scottanti sulle toghe italiane. Segreti in parte spiattellati nei suoi due libri, in parte ancora taciuti e forse tanto grandi da poter destabilizzare l’equilibrio già fragile del potere giudiziario.
Tutto farebbe dunque pensare ad uno schema. E non si tratterebbe della prima volta: oltre alla fuga di notizie sul Palamaragate, infatti, la storia recente della magistratura ha registrato anche la diffusione illecita dei verbali di Amara, ex avvocato esterno di Eni che ha svelato l’esistenza - poi smentita della nuova P2. Verbali che sono serviti ad un duplice scopo: da un lato destabilizzare nuovamente il Csm, dall’altro mettere in pubblica piazza i nomi altisonanti di presunti affiliati, di fatto inquinando le indagini e adombrando sospetti su uomini dello Stato.