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“Io sono libero” è il titolo del libro in cui l’ex governatore della Calabria e sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti racconta la sua vicenda politica e giudiziaria. La condanna per falso in bilancio, la lunga detenzione, la solidarietà e l’umanità dei detenuti, il rapporto con gli agenti di Polizia penitenziaria, ma anche la spinta verso il riscatto sono il cuore del volume che ha la prefazione di Gianfranco Fini.
Il 21 ottobre presenterà il suo libro a Piazza Duomo a Reggio. Cosa prova a ritornare in un luogo che ha celebrato i suoi successi politici in un contesto così diverso? Che accoglienza si aspetta?
Sicuramente una grande emozione. La piazza, come pure la folla, ha scandito ogni momento del mio percorso politico. Non l’ho mai evitata perché ho sempre creduto che la piazza sia il vero e il più severo giudice per chi vuole avere un confronto non filtrato con il popolo. Oggi la comunicazione si fa attraverso i social, evitando, così, il rischio che la piazza possa essere vuota. Il mio rapporto con la gente, con i miei concittadini, conserva l’approccio di sempre, ed è per questo che mi aspetto un’accoglienza vera e leale, senza pregiudizio. Penso che sia un “incontro” necessario, dovuto. Il racconto di una esperienza che ritengo unica, che voglio condividere con i miei concittadini.
Come nasce l’idea di affidare a un libro la sua esperienza in carcere. Come ha vissuto quegli anni?
L’idea è stata di un mio “compagno di cella”, che poi è colui che ha condotto l’intervista da cui scaturisce il libro ( Franco Attanasio ndr.). Inizialmente ero incerto, dubbioso. A distanza di alcune settimane da quella “proposta”, tuttavia, ho capito che il libro sarebbe stato sicuramente il documento più efficace e duraturo cui affidare l’esperienza che stavo vivendo. Ho vissuto quegli anni con una serena rassegnazione e un senso di intima pace, accompagnati da alterni sentimenti di sconforto e di speranza. Ho molto riflettuto in quel periodo e, paradossalmente, ho avuto l’opportunità di “incontrare” me stesso mentre riscoprivo, tra quelle mura, una umanità a me sconosciuta, formata da mille storie, da progetti interrotti, sofferenze silenziose e pianti notturni. Ma ho scoperto anche il significato più autentico di solidarietà e di mutuo soccorso, di assistenza. Il personale della struttura carceraria, inoltre, mi ha consegnato il tratto e l’immagine più vero delle donne e degli uomini che servono lo Stato.
In che modo è riuscito a conservare equilibrio e forza d’animo in un momento così complicato?
Pensando ai miei punti certi e fermi, alle coordinate dei miei valori, quelli che ho sempre interpretato e per cui ho vissuto. Sono stato educato alla fede, a cercare la speranza, a sognare, a guardare oltre i muri. Dalla mia finestra potevo osservare un frammento dello Stretto, il mare, il profilo dei monti. Questo “quadro” mutava ogni giorno nei colori, nell’illusione di una nuova prospettiva. Anche la linea dell’orizzonte sembrava cambiare, e in questa proiettavo il mio sguardo sulla libertà, pensando alla mia famiglia, ai miei affetti, alle persone e alle cose che erano rimaste fuori e con cui mi sarei ricongiunto. In quel periodo ho letto molto. I libri contengono il presente e la prospettiva delle vite e delle storie di altri che divengono le tue, e le vivi ampliando la tua condizione, entrando in un mondo che pur non appartenendoti ti accoglie. Non è solo “fantasia”, ma la lettura è un’esperienza edificante.
Ha descritto uno Stato che le è stato vicino quando le ha concesso la scorta e che poi l’ha aggredita al momento della condanna. Che fiducia ha nenello Stato e nella giustizia italiana?
Avere fiducia nello Stato e nella giustizia per chi come me ha rivestito cariche istituzionali non vuol dire condividerne sempre l’operato. La mia vicenda è senza dubbio “esemplare”, sia per la “severità” della condanna, sia perché resterà probabilmente l’unica. Il clima nel quale tutto è maturato, la feroce atmosfera che ha anticipato la vicenda, prima ancora che entrasse nelle aule di giustizia, ha “avvelenato” il contesto nel quale le cose andavano maturando, fino alla condanna. Una sentenza che è stata definita, da qualche addetto ai lavori, “politica”!
Ci sono state sentenze che stanno facendo discutere in Calabria. Tra tutte le assoluzioni del Consigliere Creazzo, dei parlamentari Caridi e Siclari o il ribaltamento della prima pronuncia sul sindaco Lucano. C’è qualcosa che non funziona nel sistema giustizia e nel suo rapporto con la politica?
Il problema è lo sbilanciamento mediatico che interessa le fasi del processo. L’anomalia è proprio lì. Nel nostro ordinamento il processo si compone di più parti e di più livelli: l’accusa, la difesa, il giudice e i tre gradi di giudizio. Tuttavia, l’attenzione, la rilevanza e l’enfasi che vengono assicurate all’accusa, che è soltanto una parte del processo, è di gran lunga prevalente, quando non esclusiva, rispetto alla altre due. In questo “sistema dell’informazione” così deformato e violento l’imputato è già condannato prima che entrino in gioco le altre parti del processo. È un “costume” tutto italiano, che andrebbe assolutamente corretto nel rispetto della presunzione di innocenza su cui, solo a parole, si fa un gran parlare. Si avverte l’indubbia necessità di un intervento di “riequilibrio” da parte del Parlamento. Esso non deve essere, tuttavia, un riequilibrio fra giustizia e politica, bensì fra l’esercizio del potere giudiziario e il diritto di tutti i cittadini di essere valutati seriamente e serenamente.
Cosa non rifarebbe se ripensa alla sua esperienza da Sindaco o da Governatore della Calabria? E di cosa è particolarmente orgoglioso?
Tutto il mio agire è stato sempre improntato sulla trasparenza e sulla lealtà, sul rispetto per le Istituzioni e per la comunità che mi ha assicurato nel tempo il suo sostegno. La mia azione di politico e di amministratore è stata sempre protesa a incidere efficacemente sul tessuto socio- economico della mia comunità, ad affermare e difendere la cultura della legalità e a contrastare il malaffare, anche quando ciò si è rivelato essere un rischio per me e per la mia famiglia, tanto da dover vivere per 14 anni sotto scorta; protezione che, peraltro, è stata estesa ( unico caso in Italia) anche a mia figlia, allora minorenne. Tutto questo mi rende orgoglioso. Ma la politica, purtroppo, è un mondo complesso, avvezzo al compromesso che talvolta può celare l’inganno, nel quale può capitare che non tutti condividano gli stessi valori, tradendo, così, la fiducia accordata. A pensarci bene, sul tema della fiducia qualcosa non la rifarei.
Lei esclude un suo ritorno in politica, ma la gente continua ad aspettarselo. Potrebbe cambiare idea?
Ho dismesso il mio ruolo dalla politica attiva dimettendomi da presidente della Regione nell’istante in cui lo Stato mi ha delegittimato con la condanna in primo grado. La vita di un politico è fatta di “porte”, di “passaggi”, di percorsi, alcuni dei quali è difficile ripercorrere. La politica oggi è profondamente cambiata, come pure il suo linguaggio, le sue dinamiche. Nonostante ciò, sono felice di vedere molti giovani, alcuni dei quali hanno militato nel Fronte della Gioventù al tempo in cui io ero segretario nazionale, impegnarsi per migliorare la situazione e renderla dignitosa e credibile. Provo un’immensa soddisfazione e coltivo la speranza del domani attraverso di loro. Un domani nel quale le Istituzioni dello Stato, ad ogni livello, si assistano nelle fragilità, tutelino, fino a prova contraria, i loro rappresentanti e camminino insieme per migliorare il nostro Paese.