Una ricostruzione giornalistica, presentata con gli abiti dell’inchiesta, ha quasi distrutto la reputazione di Mario Ciancio Sanfilippo, giornalista ed editore puro - categoria ormai in via di estinzione in Italia - con una aggressione del patrimonio, a colpi di confische, costruito pezzo per pezzo in oltre cinquant’anni di duro lavoro. Il 26 gennaio la prima sezione penale del Tribunale di Catania ha pronunciato la sentenza in favore di Ciancio Sanfilippo, con la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”. Pesantissima l’accusa: concorso esterno in associazione mafiosa per presunti rapporti con esponenti di Cosa nostra operanti nel capoluogo etneo. La procura ha chiesto per l’imprenditore una condanna a 12 anni con la confisca dei beni.

Ciancio Sanfilippo non è soltanto l’editore del quotidiano La Sicilia è anche il discendente di una famiglia molto facoltosa conosciuta in Italia e all’estero. Adottato dallo zio, Mario Ciancio Sanfilippo è diventato l’erede di un impero che ha messo insieme attività nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura, fino ad arrivare all’editoria e alla televisione. A Catania ha fondato Antenna Sicilia e Tele Etna. Esperienze iniziate e condivise oltre 45 anni fa con un grande della tv: Pippo Baudo. L’informazione nella città etnea si è identificata a lungo con Mario Ciancio Sanfilippo, Fino al 2007- 2008 le attività dell’editore siciliano sono andate a gonfie. La svolta, in negativo, si è avuta con la puntata di un noto programma televisivo. «In quella occasione – spiega l’avvocato Carmelo Peluso – iniziano a essere instillati i primi dubbi sull’operato del mio assistito. Da Report nasce una indagine della procura di Catania, che, però, nel 2012 si chiude con una richiesta di archiviazione da parte del pm».

A questo punto, la vicenda giudiziaria diventa sempre più intricata con passi in avanti e indietro che si alternano. Il Gip tiene sulla scrivania le carte per un po’ di tempo. «Nel novembre 2012 – dice l’avvocato Peluso - non viene accolta la richiesta di archiviazione. L’indagine verteva su circa 40 faldoni pieni zeppi di documenti. Da quel momento iniziano altri approfondimenti. Viene interrogato il mondo intero per capire chi fosse Mario Ciancio Sanfilippo. Il Gip dispone degli approfondimenti su almeno quattro centri commerciali, costruiti tra Catania e la provincia di Enna, pensando che qui si annidasse la mafia. A questo punto trasmette gli atti e il pubblico ministero cambia idea.

Non formula una nuova richiesta di archiviazione, ma presenta una richiesta di rinvio a giudizio. Siamo al 28 aprile 2015. La cosa strana è che la richiesta di rinvio a giudizio arriva in udienza preliminare e nel dicembre 2015 il Gup di Catania pronuncia sentenza di non luogo a procedere per due ordini di ragioni. Il primo riguarda l’inesistenza del concorso esterno come figura giuridica. Il secondo: non ci sono elementi per ritenere fondata l’accusa in giudizio. Se ci si fosse limitati solo a questa seconda parte, il processo non sarebbe mai iniziato».

La prima parte del processo – quella sull’inesistenza del concorso esterno rende la vicenda ancora più complessa, che approda in Cassazione. La Suprema Corte cassa la sentenza del Gup e dispone la celebrazione di una nuova udienza preliminare. Nel giugno 2017 il nuovo giudice dell’udienza preliminare dispone il rinvio a giudizio con inizio del processo nel marzo 2018. Ma non finisce qui. Le vicissitudini di Mario Ciancio Sanfilippo proseguono.

A partire dalle conseguenze sul patrimonio dell’editore catanese con la richiesta di una misura di prevenzione antimafia. «Tale richiesta – aggiunge l’avvocato Carmelo Peluso – sfocia in un procedimento. Non si fanno, stranamente, sequestri, a parte un intervento su cospicue somme di danaro depositate all’estero. La misura di prevenzione si conclude nel settembre 2018 con una sentenza di primo grado, che dispone la confisca di tutto il patrimonio di Ciancio Sanfilippo, ad eccezione della casa in cui abitava, con la tesi che l’imprenditore non era in quel momento pericoloso ma lo era stato in epoca pregressa e risultava lo stesso un soggetto pericoloso. Sono stati ricostruiti 40 anni di vita, anche imprenditoriale, del mio assistito».

I momenti di rabbia e scoramento sono tanti. Alcuni raggi di luce, però, si intravedono in fondo al tunnel. Il 24 marzo 2020, in piena pandemia, dopo due anni di custodia giudiziale, la Corte d’appello dispone la revoca della confisca e la restituzione dei beni alla famiglia dell’editore de La Sicilia. Vengono riconsegnate dai custodi 18 società al gruppo Ciancio Sanfilippo con il ritorno degli originari amministratori. Una vittoria a metà, dato che il patrimonio è stato colpito al cuore, come il credito bancario e la reputazione bancaria.

A ciò si aggiunga il processo per concorso esterno davanti alla prima sezione penale del Tribunale, iniziato il 20 marzo 2018 e conclusosi il 26 gennaio scorso. «In questi sei anni di processo – afferma l’avvocato Peluso – sono stati sentiti un centinaio di testimoni. Il pubblico ministero ha chiesto nel 2023 dodici anni di reclusione per una persona che ha quasi 92 anni di età e la confisca di tutto il suo patrimonio».

La sentenza, perché il fatto non sussiste, pronunciata pochi giorni fa ha donato un po’ di serenità a Mario Ciancio Sanfilippo. «Un epilogo molto positivo di una storia molto triste», riflette Carmelo Peluso. «L’accusa – conclude l’avvocato – composta da due sostituti procuratori, devo dire che si è sempre basata su comportamenti mai sopra le righe, nonostante le tesi che dovevano essere seguite fino alla fine.

La vicenda di Ciancio Sanfilippo è durata quattordici anni con la sentenza pronunciata quattro giorni fa. Un cittadino che viene esposto a certe altalene giudiziarie non può che risentirne profondamente. Come è stato evidenziato dal direttore de La Sicilia, con Ciancio Sanfilippo è stata processata una intera generazione e gli schizzi di fango sono finiti su chi ha sempre lavorato con dedizione e passione. La vicenda processuale si è conclusa bene, come volevamo noi difensori. Però, che pena». Il prezzo pagato anche in questa vicenda è stato troppo alto.