Sarà un giudice a decidere se, dopo l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro Roberto Speranza, anche il governatore della Regione Lombardia e gli altri indagati per la gestione dell’epidemia da covid dovranno essere archiviati.

Ma già da ora possiamo dire che la richiesta del procuratore di Brescia Francesco Prete di archiviare anche la posizione di Attilio Fontana, l’ex assessore Giulio Gallera e gli altri undici indagati che formarono la cabina di regia, “a mani nude” contro un nemico terribile e imprevisto, ha un alto valore sociale e politico. Paradossalmente più ancora della prevedibile archiviazione che tra una settimana potrebbe arrivare per tutti, e stiamo parlando di personaggi che, oltre a quelli con ruoli politici, rappresentavano l’élite del mondo sanitario italiano, oltre al capo della Protezione civile Angelo Borrelli. Tutti accusati di epidemia colposa e omicidio colposo. Perché è sempre significativa l’ammissione dell’organo dell’accusa di aver sbagliato. Magari di essersi lasciato influenzare da un’eccessiva pressione mediatica e popolare.
Che sul piano giudiziario l’accusa non stesse in piedi era evidente. Ma il processo mediatico-popolare è stato celebrato fin dai primi mesi del 2020 con una grancassa più rumorosa di quella che ha accompagnato nel tempo i processi per terrorismo o mafia. Forse pari a quelle per le indagini di Tangentopoli. Ed è chiara la similitudine, perché in entrambe le situazioni, nel prendere di mira l’amministrazione della cosa pubblica o quella della salute, prevale l’aspetto moralistico su quello della ragione o della legge. Ma nelle indagini sull’epidemia da covid è entrato un nuovo soggetto processuale, persino istigatore dell’azione dei pubblici ministeri, quello del Comitato parenti, una sorta di soggetto politico che rischia di cavalcare il dolore altrui.
Perché lì ci sono vittime. Ma nell’epidemia da covid c’erano semplicemente e tragicamente solo dei morti. Non vittime, perché nessuno, volontariamente o per negligenza, li aveva uccisi. L’assassino era uno solo, il virus. Ed è questa la conclusione cui sono giunti, da subito, in tutto il mondo, senza bisogno che si aprissero fascicoli giudiziari. Ma anche in Italia è andata così quasi ovunque, soprattutto nelle inchieste sulle Case di riposo. E la stessa perizia disposta dalla Procura di Milano sul caso del Pio Albergo Trivulzio non aveva riscontrato nessun nesso di causalità tra le ragioni dei decessi ed eventuali comportamenti omissivi. Pure, tra strilli di giornali e ignobili trasmissioni in cui si gridava «crucifige, crucifige», e si dava grande spazio a un Comitato di Bergamo che ogni lunedì manifestava davanti alla Procura e annunciava centinaia di esposti, un’inchiesta proprio nella città lombarda è a un certo punto partita. A cavallo tra un procuratore capo e la nomina di un altro.
Senza voler infierire sulle capacità professionali di nessuno, ma non avrebbe dovuto essere chiaro al colto e all’incolto, per lo meno a quelli che hanno studiato Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi, cioè alla facoltà di giurisprudenza, il fatto che perché si verifichi il reato di epidemia colposa occorre un comportamento attivo? Come si fa a pensare che il ministro Speranza o l’assessore Gallera abbiano diffuso, sia pure involontariamente, «germi patogeni»?.

Del resto la stessa Cassazione a Sezioni riunite si è più volte espressa in modo molto chiaro. Anche perché – ma lo sanno i vari Formigli e Travaglio? - il reato prevede una pena da uno a cinque anni, ma da tre a dodici se dal fatto sia derivata la morte di qualcuno. È questo che si voleva, magari dodici anni di galera per qualcuno, con le gogne e la spazzatura sparsa ovunque per tre anni? Un clima quasi religioso, da sharia più che da Paese laico, da Stato di diritto ha pervaso questa inchiesta. Nelle manifestazioni, ma anche nei talk, si chiedevano «verità» e «giustizia». Come se fosse stato nascosto qualcosa, su decisioni, come la chiusura e la creazione di «zone rosse», che erano di tipo politico e amministrativo.

A complicare la situazione e a contribuire a trasformare un’epidemia sanitaria in epidemia giudiziaria, si era infilato a un certo punto anche il professore Andrea Crisanti, che aveva svolto una perizia di parte per la procura di Bergamo, prima che l’inchiesta passasse al tribunale dei ministri di Brescia. I suoi calcoli con l’aiuto dell’intelligenza artificiale avevano portato a risultati che, come scrive ancora oggi la procura di Brescia, possono rappresentare non più che «un’ipotesi teorica sfornita del men che minimo riscontro». Che cosa dice l’attuale senatore del Pd? Che un lockdown dal 27 febbraio 2020 in Val Seriana, nella bergamasca, avrebbe evitato 4.148 decessi. Un allarme molto pericoloso. Per fortuna è stato sconfessato, sono solo ipotesi, e per celebrare processi ci vogliono prove. Però è valsa la pena seminare panico e rabbia?
Ora aspettiamo una settimana, e dopo la decisione del giudice, sapremo se possiamo mettere la parola fine a questa vicenda. Non vale neanche la pena di chiedere le scuse da parte di chi ha ferito e ucciso. Perché pubblicare foto e vignette che rappresentano Fontana e Gallera come due delinquenti, e storpiare il cognome dell’ex assessore togliendo una L, in modo da presentarlo come un candidato alle patrie galere, è, più che irresponsabile, proprio delinquenziale.

Onore comunque a tutti coloro, tecnici e politici di diverse parti, che hanno saputo affrontare questi tre anni di torture e ne sono usciti a testa alta. Al presidente Attilio Fontana, prima di tutto, trattato oltre che come untore di germi patogeni, anche come truffatore (affare camici), evasore fiscale ed esportatore di capitali illeciti. E assolto da tutto. È il vero vincitore di questa guerra. Insieme alla sua famiglia e al suo avvocato Jacopo Pensa, naturalmente.