«Gli atti ci sono stati consegnati martedì mattina, verso le 10. Tutto quello che state leggendo sui giornali io non l'ho ancora letto. Di certo non si tratta di informazioni contenute nell’ordinanza e ciò che c’è nelle informative non è pubblicabile. Non si tratta nemmeno di intercettazioni contenute nella richiesta del pubblico ministero. Le violazione del segreto istruttorio sono evidenti. Ed escludo che sia opera delle difese, sia perché non era utile sia perché li abbiamo avuti dopo rispetto ai primi articoli usciti». A parlare è Alessandro De Federicis, difensore di Fabio Pileri, socio di Tommaso Verdini e indagato nell’ambito dell’inchiesta relativa alle commesse Anas. La questione è spinosa e ha a che fare con le polemiche sorte attorno alla proposta di Costa di “blindare” le ordinanze di custodia cautelare fino al processo, per salvaguardare la presunzione di innocenza e i soggetti esclusi dal perimetro investigativo, ma non di rado finiti nelle intercettazioni e poi dati in pasto all’opinione pubblica indiscriminatamente. La stampa, dal canto suo, lamenta l’ennesima norma bavaglio, che avrebbe l’effetto, secondo i vertici della Fnsi, di far calare il sipario sul giornalismo d’inchiesta. Eppure, in questo come in altri casi, la questione è molto più spigolosa e mai affrontata da quello che sarebbe il giusto punto di vista. Per un motivo: gli atti in mano ai giornalisti - prima ancora dei difensori, come ha spiegato al Dubbio De Federicis -, non sarebbero pubblicabili a prescindere dalla norma Costa. E ciò in virtù delle norme già in vigore, tranquillamente calpestate dai giornalisti sin dalla notte dei tempi, nonostante il bene in gioco non sia soltanto la reputazione - che mica è poca roba - delle persone coinvolte, ma anche le stesse indagini, insomma, le sorti dell’intera inchiesta. Perché, di fatto, si tratta di una rivelazione di notizie segrete, la cui pubblicità potrebbe avere effetti nefasti su tutti gli sforzi investigativi fatti fino a quel momento. Ci si trova, dunque, di fronte ad una violazione ben peggiore di quella ipotizzata dalla norma Costa, dal momento che l’ordinanza ha il pregio, se non altro, di aver quanto meno superato il vaglio di un giudice, pur senza contraddittorio alcuno.

Le norme, dunque, ci sono già. Ma nessuno, a memoria, le ha mai applicate. Perché il mercato nero degli atti coperti è più florido che mai e fa finire in piazza fatti a volte solo privati, altre segreti, senza che nessuno paghi nulla. E se qualcuno lo ha fatto, ci ha rimesso pochi spicci, che nel caso dei grandi giornali - i primi a poter accedere ai documenti più scottanti -, equivale al solletico, dato il ritorno economico (o di immagine) di uno scoop, sotto molteplici aspetti. A cosa servirà, dunque, una nuova norma che impedisce - sulla carta - di fare qualcosa, mentre nessuno vigilerà su ciò che effettivamente viene fatto? Probabilmente a nulla, se non ad alimentare polemiche tra le parti che poi si esauriranno quando ci sarà da criticare una nuova proposta. Non servirà come non serve nessuna nuova norma che aspira a risolvere un problema culturale e che finisce solo per ingrossare il codice, mentre basterebbe pretendere l’applicazione delle leggi già esistenti. Applicazione sulla quale dovrebbe vigilare la magistratura. Che, in teoria, dovrebbe sentirsi danneggiata dalle fughe in avanti spesso provocate dalla stampa. Ma è un falso problema, data l’unica risposta possibile alla domanda che segue: chi consegna ai giornalisti atti segreti? Per questo motivo l’Associazione nazionale magistrati, che porta avanti una battaglia contro qualsiasi norma che miri a ridurre le violazioni del diritto alla dignità (che pure i giornalisti dovrebbero rispettare per deontologia, senza bisogno di nuove leggi), dovrebbe volgere lo sguardo verso i propri membri e pretendere che ogni pubblicazione fuori dalle norme venga perseguita nelle giuste modalità. Altrimenti è lecito pensare che questa cecità selettiva sia un modo per proteggere chi ne è complice. Chi se la sentirebbe di punire un pm che passa le carte ai giornalisti? E chi se la prenderebbe con la propria polizia giudiziaria, magari condizionando la carriera di investigatori che hanno contribuito a creare il successo di questa o di quella toga? Probabilmente pochissime persone. Così basta buttarla in cagnara: e se fossero stati gli avvocati a passare quegli atti? Oppure ecco nuove norme, nuovi divieti, che creano probabilmente solo nuove violazioni. Chi urla disperato per la possibilità che ai giornalisti vengano messe le catene ai polsi può dormire sonni tranquilli.

«C’è bisogno di tempo per leggere le carte - conclude De Federicis -. Se dentro ci troveremo quello che è stato pubblicato sui giornali vorrà dire che qualcuno ha passato quegli atti alla stampa. In caso contrario - ma sarebbe folle - vuol dire che qualcuno si è inventato quelle cose. Abbiamo chiesto le intercettazioni ambientali e ce le daranno tra qualche giorno. Adesso ci sono solo dei brogliacci, allegati alle informative. Escludo che siano stati i difensori a farle circolare: non è nostro interesse. Anche perché alcune delle cose che ho letto non hanno a che fare col processo».