È una storia anche difficile da raccontare. Un precipitato inatteso di un contenzioso, ormai risolto, tra la giurisdizione amministrativa e il Csm, che ha la competenza sulle carriere delle toghe. Si deve partire dalla delibera con cui il plenum ha assegnato a Maria Vittoria De Simone il ruolo di aggiunto alla Direzione nazionale antimafia. Una pronuncia a suo modo storica, arrivata dal Consiglio superiore lo scorso 20 febbraio: dopo molti anni di elusioni delle sentenze emanate dal Consiglio di Stato sulle nomine dei magistrati, Palazzo dei Marescialli aveva riconsiderato la scelta per quell’incarico, in precedenza attribuito a un altro pm. In questo modo aveva anche cambiato linea rispetto alle precedenti consiliature, che non ottemperavano alle sentenze di Palazzo spada, anche quando, come in questo caso, erano ripetute. Così De Simone ha visto riconosciuta, con i propri requisiti, la nomina che in due decisioni del precedente Csm era andata a Maurizio Romanelli. Si dirà: tutto a posto, va via il pm che per anni si era stato procuratore aggiunto a Milano e assume le funzioni di “vice-de Raho” la magistrata che vantava una molto più lunga esperienza sul contrasto alle mafie, e che aveva dalla sua parte la competenza specifica, acquisita negli anni già trascorsi proprio alla Dna come sostituto procuratore.

Tutto tranquillo, tutto deciso?

Macché. C’è un dettaglio che rende lunare la vicenda, tra le più complesse che abbiano riguardato gli incarichi in magistratura negli ultimi anni: Maurizio Romanelli è ancora lì. De Simone ha preso possesso delle sue nuove funzioni a via Giulia 10 scorso 1° marzo nel suo ruolo di procuratore aggiunto Antimafia. Ma Romanelli è ancora nella sede alla quale non è più assegnato.

11 caso è tanto sorprendente quanto serrata è stata la sequenza di pronunce della magistratura amministrativa, intercalate dalle ritrosie del precedente Csm ad accettare i verdetti. Una storia iniziata a giungo 2016, quando per la prima volta il plenum ha nominato Romanelli, e passataper le due pronunce arrivate nell'ultimo anno e mezzo da Palazzo Spada. Entrambe hanno dichiarato nulle le nomi- ne del magistrato milanese. Ma in fondo, dopo la “presa di possesso” da parte di De Simone, non sembravano poterci essere altre sorprese. Tanto più che davanti a un ricorso presentato in extremis da Romanelli alle sezioni unite della Cassazione, e depositato al Csm proprio il giorno del plenum decisivo del 20 febbraio, il Consiglio superiore aveva rigettato anche l’ipotesi di rinviare la decisione relativa alla nomina. Ma in questa vicenda, esemplare del labirinto in cui sono destinate a muoversi le assegnazioni degli incarichi in magistratura, i dettagli sono infiniti. L’ultimo riguarda la nuova funzione di Romanelli. Il 10 aprile scorso il Csm ha deciso che l’ex “vice-de Raho” (definizione non del tutto appropriata, che in realtà spetta al vicario) tornerà a Milano, con gli stessi gradi di aggiunto che aveva tenuto fino al trasferimento a via Giulia. Il magistrato non ha ancora preso possesso del nuovo ufficio e continua a trovarsi in quello di cui ormai non fa più parte. E non si tratta di un ufficio qualsiasi, ma del crocevia per il quale passa il coordinamento di tutte le inchieste italiane di mafia e terrorismo. Un paradosso imprevedibile, considerato il prestigio del magistrato in questione.