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È stata presentata questa settimana al Parlamento la relazione, predisposta dal ministero della Giustizia e prevista dalla legge 47 del 2015, sullo stato di “applicazione delle misure cautelari” relativa al 2022. Una premessa, prima di passare all'analisi in dettaglio dei dati, è d'obbligo. Innanzitutto non tutti gli uffici giudiziari hanno adempiuto agli obblighi di legge: l' 80 percento di loro ha fornito i dati, per il rimanente 20 percento, un quinto del totale, si è provveduto mediante una “stima”.
I provvedimenti conteggiati, poi, indipendentemente dall’anno di iscrizione del procedimento, non sono coincidenti con il numero delle persone “cautelate”, risultandone in genere superiore. Il motivo è dovuto al fatto che ad una stessa persona può essere stata applicata più di una misura cautelare nell’arco dell’anno, per fatti o procedimenti diversi. Ed è anche possibile che la misura iniziale sia stata sostituita nel tempo con altra più lieve o anche più gravosa. Le misure complessivamente oggetto di analisi sono undici. Si va da quelle più “lievi”, come il divieto di espatrio, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, l'allontanamento dalla casa familiare, il divieto e/ o obbligo di dimora, a quelle invece maggiormente afflittive come gli arresti domiciliari, con o senza “braccialetto”, o la custodia cautelare in carcere. In totale, le misure irrogate sono state lo scorso anno circa 81mila. 44.518 le persone messe in custodia cautelare.
Di queste 24.654 in carcere (oltre 500 in più rispetto al 2021). Diminuiscono i domiciliari senza braccialetto: nel 2022 sono stati 16.507 rispetto ai 18.036 del 2021. I domiciliari con braccialetto sono stati invece 3.357, rispetto ai 2.808 del 2021. In pratica, solo al 14 percento degli arresti domiciliari viene applicato lo strumento di controllo da remoto, con le immaginabili conseguenze per le forze di polizia chiamate a vigilare sul rispetto della misura. La relazione fornisce anche un dato circa gli esiti assolutori e di proscioglimento a vario titolo. Solo il 10 percento circa, ossia una misura su 10, è stata emessa in un procedimento che ha avuto come esito l’assoluzione o il proscioglimento. Un dato, per i motivi sopra esposti, da prendere con grande cautela. Bisognerebbe, infatti, riflettere riguardo le varie tipologie di provvedimenti emessi e la loro correlazione con la gravità della condotta. Ad esempio, ci si potrebbe chiedere se i procedimenti ove sia stata emessa una misura custodiale (carcere o arresti domiciliari) siano maggiormente suscettibili di terminare con una condanna rispetto ai procedimenti ove sia stata emessa una misura non custodiale, quindi di minore gravità. La relazione, comunque, contiene anche i dati circa le domande di riparazione per ingiusta detenzione. Nel 2022 su 1.180 domande ne sono state respinte più della meta, essendo quelle accolte 556, la maggior parte, 103, nel solo distretto di Reggio Calabria. Quanto ai pagamenti, lo Stato nel 2022 ha pagato 27.378.085 euro, di cui oltre 10 milioni, sempre nel distretto di Reggio Calabria.
Va ricordato che l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione è espressione dei principi di solidarietà sociale e dei valori di civiltà giuridica in virtù dei quali, in un ordinamento democratico, chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale ha diritto a una congrua riparazione per i danni morali e materiali subiti. Il problema è che molti ostacoli vi si frappongono. È sufficiente ricordare i tanti casi, da Raffaele Sollecito a Diego Olivieri che, pur assolti dopo anni trascorsi in custodia cautelare, non hanno ricevuto alcun indennizzo. «Finalmente da via Arenula hanno comunicato i dati», ha affermato l'onorevole Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione Italia Viva, che ha voluto porre l'attenzione sul numero delle iniziative disciplinari da parte del ministero e della Procura generale della Cassazione per emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale con negligenza grave e inescusabile da parte dei magistrati: «Una sola, esito? Non doversi procedere».