Sul Qatargate è necessario fare «autocritica». In particolare, per la «gestione dell’immunità parlamentare», che «crea un precedente molto pericoloso». A dirlo, nel corso di una seduta della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo dello scorso 14 febbraio, è stato l’eurodeputato di Renew Europe Sandro Gozi. Secondo cui la gestione dell’intera vicenda ha creato «un vulnus molto pericoloso per le nostre democrazie», che richiede «una riflessione approfondita, perché occorre garantire meglio l’immunità parlamentare, le garanzie parlamentari».

Gozi ha pronunciato queste parole davanti alla ministra degli Esteri del Belgio, Hadja Lahbib, che ha tirato in ballo lo scandalo nel corso della presentazione del programma della presidenza del Consiglio del Belgio. Una citazione che ha suscitato subito interesse, anche per le connessioni tra Lahbib ed alcuni protagonisti della vicenda, come Ugo Lemaire, figlio di Maria Arena e di Olivier, attuale marito della ministra belga. L’appartamento di Lemaire jr è stato sottoposto a perquisizione nei mesi scorsi e al suo interno sono stati trovati soldi e droga. Contemporaneamente, gli inquirenti hanno perquisito anche casa della madre, interrogata nei giorni scorsi come sospettata, dopo mesi di denunce da parte degli altri indagati, secondo i quali Arena avrebbe goduto di una immunità speciale. Un sospetto alimentato anche dagli affari tra Lemaire jr e il figlio di Michel Claise, il giudice istruttore che diede il via all’inchiesta e che si dimise dopo la pubblicazione della notizia del legame tra i due giovani. Il nome di Arena, grande amica del “pentito” Pier Antonio Panzeri, era comparso più volte nel fascicolo, rimanendo, però, sempre ai margini della vicenda.

Lahbib - come riportato dal Corriere della Sera nei mesi scorsi - il 14 novembre 2022 (pochi giorni prima degli arresti) incontrò il ministro del lavoro del Qatar Ali bin Samikh Al Marri, ritenuto dagli inquirenti il corruttore, ma rispetto al quale il Belgio ha rinunciato al mandato di cattura. «Abbiamo discusso di diritti umani, inclusi quelli delle donne e Lgbtqia+. Ho confermato che il Belgio riconosce i significativi progressi del Qatar», aveva twittato all’epoca Lahbib. Parole identiche a quelle pronunciate da chi, come Eva Kaili, ex vicepresidente dell’Europarlamento, è finito in carcere con l’accusa di corruzione. La questione dell’immunità riguarda principalmente Kaili, che da sette mesi attende una risposta da parte della Commissione Giuridica alla richiesta di verificare una possibile violazione. I difensori della politica greca avevano inviato ai colleghi diversi documenti, finalizzati a dimostrare che gli europarlamentari «sono stati oggetto di indagini molto prima che l'eurodeputata Kaili fosse illegalmente detenuta dalla polizia belga». E oggi si aggiungono nuovi elementi, come l’audio registrato di nascosto da Francesco Giorgi, marito di Kaili ed ex assistente parlamentare di Panzeri, in cui l’ispettore a capo delle indagini ha ammesso che il principale “collaboratore di giustizia” di questa inchiesta, di fatto, mente.

Secondo Lahbib, lo scandalo Qatargate avrebbe dimostrato «come degli attori stranieri tentano di influenzare le politiche europee e come il quadro normativo delle istituzioni europee richiede una migliore resilienza». Il Parlamento si sarebbe dimostrato vulnerabile, secondo Lahbib. Da qui la scelta di inserire tra le priorità del semestre di presidenza belga la creazione di un organismo etico interistituzionale, per rafforzare la responsabilità democratica dell’Unione. Nessun dubbio, dunque, sulla fondatezza dell’indagine, messa a dura prova dalle violazioni evidenziate dalle difese e rese note dalla stampa. E poco importa se a violare il Parlamento siano stati, per primi, i servizi segreti del Belgio (e non solo), che si sono introdotti in borghese nelle Commissioni del Parlamento europeo.

È proprio agli scricchiolii che arrivano dalla procura che fa riferimento Gozi, la cui voce critica si è sollevata assieme a quella di Sven Simon, eurodeputato tedesco del Ppe, avvocato e docente di diritto europeo e internazionale. I due sono dunque tra i primi a raccogliere l’appello di Giuliano Pisapia, vicepresidente della Commissione Affari costituzionali e membro del gruppo S&D, che proprio dalle colonne del Dubbio aveva parlato di una brutale aggressione ai danni del Parlamento europeo. «Quello che leggo sulla stampa, quello che succede nel Paese dove ci troviamo, mi preoccupa molto - ha dichiarato Gozi - e penso anche che il Parlamento debba fare un’autocritica, perché la gestione dell’immunità oppure della revoca dell’immunità in occasione di questo scandalo ha creato un precedente molto pericoloso per il Parlamento, ad altissimo livello, anche per la Presidente». Un concetto ribadito da Simon: «Il Qatargate, per me, giurista tedesco, fa nascere alcuni dubbi sullo Stato di diritto - ha sottolineato -, su come il Belgio ha trattato tutta la questione, in particolare la questione dell’immunità, che è stata un po’ messa da parte e crea tutta una serie di questioni. Ecco perché noi non dobbiamo avere due pesi e due misure nel momento in cui si tratta dello Stato di diritto e nel momento in cui ci concentriamo sempre sull’est e invece ad ovest, insomma, facciamo un po’ quello che ci pare».

Nei giorni scorsi era stato l’ex procuratore capo della Direzione nazionale antimafia, l’eurodeputato Franco Roberti, a sollevare dubbi: «L’indagine - aveva dichiarato al Dubbio - è fatta in evidente violazione di alcune garanzie, cosa che in Italia sarebbe intollerabile». Ma per Lahbib il problema non sono le indagini - «sono ancora in corso e per via della separazione dei poteri bisogna rispettare gli investigatori», ma non le difese, a quanto pare -, ma le fughe di notizie: «Non mi è piaciuto come tutto è stato dato in pasto all’opinione pubblica, con la disinformazione che non può essere confermata». Opinione pubblica che, però, per mesi ha letto migliaia di atti provenienti dal fascicolo d’accusa e sfavorevoli agli indagati, mentre molti atti - anche a discarico -, per stessa ammissione del capo degli investigatori, sono rimasti strategicamente fuori dal fascicolo, con una grave lesione del diritto di difesa. Soltanto dopo mesi e mesi le difese sono riuscite a far sentire la propria voce, il tutto mentre sui giornali amici della procura veniva brutalmente violato il segreto istruttorio. Una fuga di notizie, dunque, che ha favorito la tesi dell’accusa, non quella delle difese. Nonostante questo, Lahbib ha ammesso la necessità di «rafforzare il potere democratico, cioè l’immagine del Parlamento» e di «tutelare meglio i deputati che rappresentano il popolo, i cittadini che hanno votato per loro».