Anche i più ottimisti, gli irriducibili del pensiero positivo, hanno ormai compreso che gli obiettivi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per la rigenerazione del sistema giustizia non saranno realizzati, a meno di correttivi radicali.

Allo stato, infatti, la riduzione in cinque anni del 25 per cento del tempo di definizione dei processi penali e del 40 per cento di quello dei processi civili, nonché la riduzione del 90 per cento dell’arretrato civile rispetto al 31 dicembre 2019, salvo improbabili miracoli, difficilmente potrà essere raggiunta.

Chi ben conosce l’organizzazione giudiziaria, e appunto il dossier sulla parte del Pnrr relativa alla giustizia, fa notare in questi giorni come gli impegni assunti con l’Ue tra settembre 2020 e aprile 2021 fossero “evidentemente impossibili da rispettare”. Era irrealistico, “chiaramente irrealistico”, viene fatto notare, soprattutto l’obiettivo di ridurre l’arretrato del 90 per cento entro il 2026. Un obiettivo, quest’ultimo, che avrebbe dovuto risultare chiaramente irraggiungibile già agli occhi di chi per primo iniziò la trattativa con Bruxelles e di coloro che poi la perfezionarono. La discussione su Recovery fund, Next generation Ue e Pnrr avvenne in piena pandemia covid, con il Paese stremato dai lockdown e dalle restrizioni sanitarie. Avviata durante il governo Conte due, sostenuto da Pd, M5S, Leu e Italia Viva, l’interlocuzione con la Commissione europea proseguì e venne definita negli attuali termini con il successivo governo Draghi, sostenuto da tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia.

Pur con le più rosee aspettative, si sottolinea ora da più parti –e in particolare da chi ben conosce il dossier sul cosiddetto Pnrr Giustizia – gli uffici di via Arenula non potevano non avere fonti di conoscenza tali da riuscire a compiere una valutazione molto semplice: ridurre l’arretrato civile del 90 per cento nel giro di pochi anni sarebbe stato in ogni caso impossibile, anche con l’Ufficio del processo a pieno organico.

E qui subentra un’altra valutazione troppo ottimistica compiuta dai governi precedenti all’attuale riguardo agli impegni sulla giustizia da assumere con l’Ue: pensare che gli addetti all’Ufficio per il processo non solo sarebbero stati assunti nella misura prevista di oltre 16mila unità (obiettivo fallito per carenza di candidati, soprattutto al Nord) ma che sarebbero riusciti immediatamente a supportare i giudici nella preparazione delle sentenze sulle tantissime cause civili arretrate. Previsione, pure questa, del tutto irrealistica, fa notare, ancora, chi oggi osserva perplesso il naufragio dei target sull’efficienza dei tribunali. Era ovvio che i neoassunti (a tempo determinato) dell’Ufficio per il processo avrebbero dovuto seguire un percorso formativo per un periodo di almeno 6 mesi, se non di più, in quanto completamente digiuni del funzionamento della macchina giudiziaria, a cominciare dagli applicativi informatici.

Una gravissima sottovalutazione da parte di chi, evidentemente, pensava che il giorno stesso dell’immissione in servizio questi giovani giuristi neolaureati potessero subito dare l’auspicato contributo al giudice nello smaltimento dell’arretrato.

E ciò a prescindere da ostacoli sopraggiunti, come il recente sovraccarico di ricorsi in materia di protezione internazionale connesso all’aumento esponenziale degli sbarchi negli ultimi mesi, e citato la scorsa settimana dal ministero della Giustizia, nelle schede trasmesse al ministro per Affari europei e il Pnrr Raffaele Fitto, quasi nel tentativo (altruistico) di ridimensionare le responsabilità dei predecessori.

Questo oggi fa notare chi ha adeguata cognizione del Pnrr Giustizia. Non era immaginabile, inoltre, raggiungere determinati risultati su scala nazionale soprattutto perché non tutti gli uffici hanno mai risposto allo stesso modo.

Il dato statistico è sempre stato chiaro: uffici giudiziari collocati in aree geografiche vicine, con il medesimo bacino d’utenza e con le identiche scoperture di personale, hanno spesso un arretrato diverso. Cosa significa? Che il tema centrale è l’organizzazione del lavoro e, quindi, la responsabilità dei capi degli uffici nel far funzionare in maniera efficace il Tribunale o la Corte d’appello. È dunque inutile mandare risorse se non si è in grado di far funzionare in maniera adeguata quelle che già oggi si ha a disposizione.

A via Arenula, poi, non è al momento possibile individuare con chiarezza la documentazione, i carteggi, che prima con Alfonso Bonafede e poi con Marta Cartabia definirono le soglie di abbattimento dell’arretrato da proporre all’Europa.

Di quel gruppo che gestì la partita non c’è più nessuno. Carlo Nordio, appena nominato ministro, ha dato il via ad un profondo turnover sostituendo tutti i direttori generali.

Sempre chi conosce bene l’attuale stato del dossier, ricorda che all’epoca la pressione era tremenda da parte sia dell’Ue sia dei vertici dei precedenti governi, in particolare Mario Draghi che sulla stipula del Pnrr aveva investito tutto il proprio peso.

I negoziati andavano chiusi in fretta e nessuno, a cominciare dall’ex premier, era disposto a fare una “brutta figura”. È insomma anche difficile capire se quegli obiettivi irragionevoli su arretrato e tempi dei processi siano stati “imposti’ da Bruxelles o se l’Italia abbia voluto scommettere nella riuscita del Piano confidando nello “stellone” che l’accompagna dal 1948.

Toccherà a Nordio, a Fitto e ai loro rispettivi uffici trovare una mediazione con l’Europa. E visto che è impossibile prorogare la data ultima per l’erogazione dei fondi, fissata appunto al 2026, si lavorerà agli obiettivi che potranno essere realisticamente raggiunti. E il 90 percento dell’abbattimento dell’arretrato non è certamente uno di questi.