«Se nel Movimento 5 Stelle ci sono dinamiche interne, le affrontino». Gianni Cuperlo si rivolge direttamente ai grillini perché si attivino per impedire i continui cambi di direzione di Luigi Di Maio. Uscendo dall’ufficio di Giuseppe Conte, il capo politico ha nuovamente messo in discussione la nascita di un governo giallorosso - un governo al «condizionale», ha dichiarato - qualora il premier incaricato non accogliesse tutti i punti programmatici pentastellati. Il sospetto è che dietro alla partita dei temi si celi la contrattazione mai sopita per garantire a Di Maio la poltrona di vice premier. Perché il leader 5S non ha mai realmente rinunciato a Palazzo Chigi per non perdere il contatto ( e controllo) col presidente del Consiglio, tornato a essere un «premier super partes» nel racconto dimaiano.

«Abbiamo presentato alcuni punti al presidente Conte ( ben 20, ndr) che riteniamo imprescindibili», dice il numero uno del Movimento in conferenza stampa, prima di aggiungere: «Se verranno accolti bene, altrimenti meglio andare al voto e, aggiungo, anche presto». Un aut aut definito a più voci, da ogni corrente dem, «irricevibile», «incomprensibile», «inaccettabile». Nicola Zingaretti non nasconde l’irritazione per l’ennesima giravolta e annulla l’incontro con Di Maio previsto nel pomeriggio. «Patti chiari, amicizia lunga. Stiamo lavorando con serietà per dare un nuovo governo all’Italia, per una svolta europeista, sociale e verde», twitta il segretario Pd. «Ma basta con gli ultimatum inaccettabili o non si va da nessuna parte». Di Maio non ha alcuna intenzione di rinnegare il lavoro fatto fino a ieri insieme a Matteo Salvini e pretende che il nuovo alleato accetti di proseguire l’esperienza del “governo del cambiamento” sostituendosi semplicemente alla Lega. La «discontinuità» richiesta dal potenziale nuovo alleato come condizione preliminare per lanciarsi in questa nuova avventura non sembra interessare al capo grillino, che alla proposta di cancellare o «almeno» modificare i decreti sicurezza contrappone risponde con un secco: «Riteniamo non abbia alcun senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza». Al massimo vanno prese in considerazione le osservazioni del Quirinale su quelle leggi, «ma senza volerne rivederne la ratio, né tanto meno le linea di principio».

Peccato che al tavolo del confronto non ci sia più Salvini ma il partito che sulle barche delle ong ha inviato i propri parlamentari in segno di solidarietà. Né possono essere considerate prioritarie, in assenza del Carroccio, le «richieste di autonomia differenziata avanzate dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna» che Di Maio mette sul piatto di Conte. «Undici milioni di italiani ci hanno chiesto di realizzare un programma con punti che aspettano da decenni. Abbiamo fatto una scelta coraggiosa: di non relegare all’opposizione quel programma», insiste. «Siamo stati al governo 14 mesi, poi qualcuno ha deciso di far cadere tutto, sprecando un’occasione storica», argomenta con un filo di nostalgia. Il vice premier ancora in carica per il “disbrigo degli affari correnti” omette però un dettaglio: quel programma inserito nel “contratto di governo” era frutto della mediazione con un altro partito, non con quello con cui oggi il Movimento si propone di formare una nuova maggioranza.

Il capo dei cinquestelle «ha cambiato idea? Lo dica con chiarezza», twitta costernato il vice segretario del Pd Andrea Orlando. «Noi vogliamo evitare recessione e aumento Iva. Ma proprio per questo gli ultimatum e le minacce di Di Maio sono irricevibili», gli fa eco Maria Elena Boschi. Ai piani alti del Nazareno sono convinti che dalle urne il Movimento 5 Stelle uscirebbe con le ossa rotte e che l’irrigidimento del capo politico serva solo ad alzare la posta per ottenere qualche poltrona in più. Ma la diffidenza resta alta. Sull’accordo pende ancora la mannaia di Rousseau, il portale su cui gli iscritti dovranno pronunciarsi probabilmente all’inizio della prossima settimana. E sul blog delle stelle è apparso un post “minaccioso” dal titolo “Rousseau conta”. «I gruppi parlamentari hanno un ruolo importante», si legge, «poi la parola passerà agli iscritti e ci atterremo, com’è ovvio, alla loro decisione», recita il messaggio che preoccupa soprattutto deputati e senatori pentastellati, terrorizzati dal voto di tanti ex militanti grillini nel frattempo diventati elettori della Lega. «Probabilmente non siamo ancora abituati a quella che Gianroberto Casaleggio definiva “una nuova centralità del cittadino nella società”», prosegue il post. «Il nostro obiettivo è proprio quello di praticare e diffondere questa rivoluzione culturale». E pensare che Zingaretti aveva imposto il ritorno alla «centralità del Parlamento» come principio base per sedersi al tavolo.