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IMAGOECONOMICA
Il Partito democratico va all’attacco del governo e lo fa attraverso il tema dei magistrati fuori ruolo, mai forse loro terreno di scontro in materia di giustizia in tale senso. «Stiamo assistendo ormai da settimane - hanno dichiarato i deputati Federico Gianassi e Debora Serracchiani - alla fuga della maggioranza di destra rispetto all’espressione di pareri sui decreti di attuazione della riforma Cartabia, in particolare sui magistrati fuori ruolo e sulle modifiche dell’ordinamento giudiziario che attengono anche al fascicolo di valutazione del magistrato. Questa destra, che a parole si mostra sempre molto muscolare e che in questo primo anno e mezzo di legislatura non ha mai perso l’occasione di fare della giustizia una bandiera ideologica, alla prova dei fatti finisce per scappare».
Infatti i pareri non vincolanti delle commissioni Giustizia di Palazzo Madama e Montecitorio sarebbero dovuti arrivare entro il 28 gennaio, in ritardo già di un mese rispetto addirittura all’emanazione dei decreti attuativi. Tutto è però fermo a Via Arenula, dove vorrebbero rivedere la riduzione dei fuori ruolo - già oggi limitatissima, da 200 a 180 unità - in modo da renderla ancora meno ampia. Anche nella maggioranza non sono d’accordo: Fratelli d’Italia non vorrebbe inimicarsi la magistratura mentre Forza Italia si starebbe battendo per scongiurare i desiderata di Via Arenula. Però ora a polemizzare apertamente ci si mettono i dem: «Ciò che il governo prospetta - terminano Gianassi e Serracchiani - è una riduzione minimale che non utilizza gli spazi concessi dalla riforma Cartabia che consentivano la riduzione ben più significativa dei magistrati fuori ruolo. Noi, a differenza della maggioranza di destra, non abbiamo mai pensato che la funzione del magistrato fuori ruolo debba essere contrastata in sé perché quelle competenze sono estremamente utili. Ciò che va evitato è un numero eccessivo che finisce per determinare due conseguenze negative: una maggiore scopertura di organico della magistratura e una relazione troppo stretta tra politica e magistratura che invece meritano di essere distinte».
Polemica anche dal M5S tramite l’onorevole Valentina D’Orso: «Evidentemente non riescono a trovare la quadra neppure su questi provvedimenti. Ennesima prova che la compattezza dichiarata è tutta una finzione. Purtroppo in questa legislatura la mortificazione delle commissioni e di tutto il Parlamento è una costante: siamo costretti a lavorare malissimo, tra lunghe attese, causate da immobilismo del governo o scontri interni alla coalizione, e accelerazioni intollerabili, con priorità dettate da esigenze di propaganda o di bandierine da concedere a una forza politica».
Pure Azione questa volta non ci sta, come traspare dalle parole di Enrico Costa: «La legge Cartabia ha delegato al Governo la riduzione dei magistrati fuori ruolo: erano 200 e Nordio li ha portati a 180. Ora stanno trescando per non contare tra i 180 quelli di stanza alla Corte Costituzionale, Presidenza Repubblica e Camere, che sono almeno 24. Risultato: 204». Si è in attesa altresì del giudizio sui due schemi di decreti anche da parte del Consiglio superiore della magistratura, ma l’istruttoria è ancora ferma in VI Commissione. Chi invece ha elaborato dei pareri è stata AreaDg, la corrente progressista della magistratura. Sulla questione dei fuori ruolo, le toghe ritengono «inidonea» «la riduzione numerica dell'organico» «da 200 a 180 unità». Tuttavia «non perché sia in astratto scorretto rideterminare e, in caso, ridurne il numero, ma perché operare un taglio lineare senza aver prima definito quali e quanti sono le collocazioni che astrattamente richiedono o consentono l'assegnazione di un magistrato fuori ruolo appare previsione irrazionale e demagogica». Insomma più che puntare ad un generico abbassamento della quota numerica sarebbe stata opportuna una ricognizione degli incarichi, come detto in audizione parlamentare pure dall’Anm.
Per quanto concerne il diritto di tribuna dei componenti laici alle valutazioni di professionalità dei magistrati, Area scrive che «si tratta, in linea generale, di un principio condivisibile, in quanto tende a garantire un meccanismo di pubblicità delle valutazioni di professionalità, ispirato a principi di democraticità e di esclusione di eventuali logiche corporativistiche». Ma «manca una disciplina trasparente che regoli la designazione degli avvocati nominati dai Consigli degli Ordini». Poi la norma prevede che il Coa trasmetta segnalazioni «che si riferiscano a fatti specifici, incidenti in senso positivo o negativo sulla professionalità» del magistrato, e «comportamenti che denotino evidente mancanza di preparazione giuridica». Quest’ultima previsione sarebbe in contrasto con i principi generali che governano le valutazioni di professionalità («la valutazione di professionalità riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti non può riguardare in alcun caso l’attività di interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove»).
Per i togati di Area «emerge la sensazione che possa trattarsi di un meccanismo di valutazione para-disciplinare e che, pertanto, esuli del tutto dalla finalità generale del processo di valutazione professionale». Sarebbe, quindi, necessario «che il Csm – anche al fine di recuperare la finalità positiva di ampliare le fonti di conoscenza, comprese quelle esterne all’organizzazione giudiziaria - regolamentasse in maniera dettagliata (eventualmente in accordo con il Cnf) le modalità e le forme di ricorso da parte dei singoli Coa a tale strumento, anche mediante schemi di redazione e allegazione standard».