RIDOTTO IL DISSENSO M5S, MOLTI PARLAMENTARI DI FI NON PARTECIPANO AL VOTO. CONTE: RIFORMA MERITO NOSTRO

Ma la tensione resta alta dopo il duro affondo di Renzi contro il premier: «Votiamo contro la governance sul Recovery Fund e la norma sui servizi»

Camera e Senato dicono sì alla riforma del Mes grazie al voto dei grillini che, tolta una manciata di dissidenti, alla fine hanno trovato la quadra e rimandato la resa dei conti interna salvando il governo Conte da una crisi politica che sarebbe stata imprevedibile. Ma se da un lato il premier incassa l’appoggio dei grillini, dall’altro deve prendere atto del nuovo durissimo attacco di Matteo Renzi che sulla cambina di regia del Recovery sembra non mollare: «Se ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono tre nostre, due da ministro e una da sottosegretario, a sua disposizione», dice il leader di Iv. IL PREMIER TRATTA SULLA CABINA DI REGIA

La vittoria sul Mes - ieri il via libera del Parlamento - tranquillizza solo in parte il premier Conte. E in un intervento più breve del previsto Conte, di fronte alle Camere, non ha mai pronunciato le parole Recovery Plan. Particolare tanto più significativo se si pensa che nei giorni scorsi il premier prevedeva di insistere proprio su quella che è oggi di gran lunga la voce più importante nell'agenda della politica italiana. Anche il richiamo all'unità della maggioranza, sommesso e quasi burocratico, era depotenziato dall'impossibilità di citare il vero cuore del problema. Lo stesso cdm, convocato per la serata, è stato in forse sino all'ultimo tra l'ipotesi di soprassedere sull'intero capitolo e quella di limitarsi varare la ripartizione di fondi, oggetto peraltro di scontro a propria volta perché 9 mld per la sanità non bastano a nessuno nella maggioranza. Il punto chiave, la governance del Piano italiano, è per il momento fuori discussione. Sul nodo della discordia Renzi non cede di un cm. Varare il decreto con il voto contrario dei ministri di Iv, dunque con la consapevolezza di non aver la maggioranza in aula al momento del voto in aula, significherebbe innescare una reazione a catena che porterebbe quasi inevitabilmente alla crisi di governo. La scelta ora sta a Conte e non è una decisione facile né dall'esito sicuro. Se insiste sul suo modello di cabina di regia, che di fatto sostituisce i commissari ai ministri, concede enormi poteri in deroga, crea una sorta di supergoverno limitato al premier steso e ai ministri Gualtieri e Patuanelli, rischia di arrivare a uno scontro frontale non solo con Renzi ma anche con l'intera maggioranza, perché Zingaretti e Di Maio, pur non ammettendolo pubblicamente, sono tanto ostili alla cabina di regia quanto il leader di Iv. Se rimette in discussione il suo modello, apre la strada, con una sconfitta secca su un fronte così importante, alla manovra che mira nei prossimi mesi, tra gennaio e febbraio, a circoscrivere drasticamente i suoi poteri e forse a sostituirlo, se i tre leader di M5S, Pd e Iv troveranno l'accordo su un premier alternativo. Conte sa di avere molte frecce nella sua faretra. Arrivare a uno scontro aperto significa mettere in conto il rischio di una crisi che potrebbe portare a elezioni anticipate che nessuno vuole e che, a emergenza Covid tutt'altro che superata non sarebbe certo capita dal Paese. Un'alternativa certa o anche solo probabile al momento non esiste. Il premier può contare sul sostegno del Quirinale, che ritiene molto più prudente blindare questo governo, fragile ma esistente, piuttosto che azzardare il salto nel buio di una crisi senza sbocco chiaro e predeterminato. Ma le carte dell'avvocato Conte non si fermano qui. Forse queste sono anzi solo le più vistose, non le più pesanti. Conte gode del sostegno del vaticano, che si è già rivelato decisivo o quasi nel 2019, e oggi è considerato il leader più affidabile dalla Germania, che non dimentica il suo ruolo fondamentale nell'elezione di Ursula von der Layen ala guida della Commissione. Senza contare il fatto, non secondario, che un cambio della guardia a palazzo Chigi ora, con la partita del Next Generation Eu tutta ancora da giocare, non sarebbe certo ben accolto a Bruxelles, Francoforte e Berlino. Sono argomenti pesanti, che consigliano a Conte di resistere e andare avanti. Non sono però decisivi perché non è immaginabile un premier in guerra permanente con la propria maggioranza, impegnato ogni giorno su un fronte diverso come nelle ultime settimane. Nessun sostegno potrebbe impedire in questo caso un logoramento destinato a tradursi in crisi comunque oppure in una paralisi che sarebbe ancor più nefasta della crisi. Lo stesso capo dello Stato, pur confermando il supporto e lo scudo per il capo del governo, si è infine convinto che un chiarimento in gennaio sarà necessario.

La partita vera, del tutto aperta a ogni sbocco, si giocherà allora. Su quella partita peserà moltissimo l'esito dello scontro sul Recovery che dovrà concludersi molto prima. Per questo Conte esita a fare un passo che, in qualsiasi caso, sarà forse quello decisivo e spera in una mediazione che però, nella situazione data. Appare impossibile. Perché qualunque sia la formula di mediazione sarà comunque chiaro a tutti chi ha vinto e chi ha perso.