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Non c’erano solo i disegni che raccontavano presunte scene di violenza subite dalla madre ad opera del padre, e non c’erano solo i precedenti per guida in stato d'ebbrezza e una situazione di abuso di sostanze alcooliche in contesti di fine settimana. Nel caso di una delle famiglie coinvolte nel processo “Angeli& Demoni”, per la quale il Tribunale dei Minori aveva disposto l’allontanamento di madre e figlio dal padre, ci sarebbe anche un atteggiamento un po’ troppo aggressivo da parte del padre con una delle maestre del bambino, episodio che ha turbato la maestra che ha dichiarato in udienza di essersi sentita «investita», dal padre tanto da averlo riferito con una sua nota scritta ai carabinieri. È un continuo colpo di scena il processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. E sono le voci ascoltate in aula, che al momento sono quelle richieste dalla stessa accusa, a fornire, ancora una volta, versioni diverse di quelle che, per il Tribunale mediatico, sono ormai invece certezze granitiche.
Le maestre del bambino, ascoltate in aula, hanno infatti ribadito le condizioni precarie del minore, già segnalate nel 2018 ai carabinieri, quando avevano descritto un bambino «sofferente, chiuso e con un grave problema di linguaggio», senza nemmeno «un dente sano nell’arcata superiore della bocca e pertanto si vedeva che non fosse un bambino curato. I denti erano cariati sin dal livello della gengiva», tanto da lamentare dolore e difficoltà a mangiare, ed era «sottopeso». Inoltre, aveva raccontato, sia tramite i suoi disegni, sia verbalmente, episodi di violenza subiti dalla madre, «picchiata sull’addome e sulle gambe», ma anche «sugli occhi», sia «sulle scale» sia «davanti l’ascensore». Episodi che la madre aveva giustificato attribuendo i racconti del figlio all’influenza degli Avenger e di Batman, giochi che, però, non erano mai stati menzionati dal bambino alle maestre.
Sono le relazioni delle insegnanti, risalenti a novembre 2017 e febbraio 2018, a rappresentare la base delle relazioni dei servizi sociali accusate di falso ideologico. Relazioni con le quali i servizi non hanno nemmeno mai chiesto l’allontanamento - poi deciso dal Tribunale, davanti al quale il padre aveva ammesso che gli episodi descritti dal figlio con i disegni poi spiegati alle maestre erano realmente accaduti -, ma solo un monitoraggio della situazione. Le maestre hanno inoltre ribadito in aula di non aver mai subito alcuna pressione da parte degli assistenti sociali, riferendo, inoltre, un episodio risalente al periodo in cui il bambino è rientrato a casa, dopo il blitz “Angeli&Demoni” del 2019. La donna ha riferito di essere stata letteralmente «investita» dal padre, che si era recato a scuola per dirle che non voleva che il figlio facesse il percorso di logopedia con la Neuropsichiatria infantile. La sua colpa era stata quella di chiedere alla madre, il giorno precedente, informazioni sull’interruzione di tale percorso, dati i suoi problemi di linguaggio.
L’episodio era stata segnalato dall’insegnante alla dirigente, la maestra aveva stilato una relazione sull’episodio, e la aveva consegnata al locale comando dei carabinieri. La pm Valentina Salvi ha riferito di non essere a conoscenza dell’episodio, dal momento che le sit erano precedenti a quella denuncia. Ma è stata la stessa maestra a dire in aula che la pm era stata avvisata telefonicamente dai carabinieri in sua presenza, mentre lei era in caserma a raccontare dell’atteggiamento del padre.
Ieri è stato anche ascoltato uno dei carabinieri presenti all’allontanamento di un’altra minore, sulla quale c’era un sospetto abuso sessuale ipotizzato dalla madre e dai medici del pronto soccorso. Il teste, in aula, ha però riferito l’esatto opposto di quanto dichiarato a sit, al punto di spingere l’avvocato Nicola Canestrini, difensore di Francesco Monopoli, uno degli assistenti sociali finiti a processo, a chiedere se avesse avuto contatti con qualcuno prima dell’udienza, contatti negati dal militare. Il teste ha dunque dichiarato che al momento dell’allontanamento Monopoli si trovava in casa, presenza, invece, pacificamente smentita anche da Cinzia Magnarelli, l’assistente sociale che ha patteggiato la pena a inizio procedimento. E mentre a sit aveva sottolineato che la casa era in disordine e puzzava di chiuso, in aula il militare ha smentito tale circostanza, sostenendo che tutto era perfettamente in ordine.
L’udienza di ieri si è aperta con l’ennesimo tentativo dell’accusa di ascoltare un testimone non presente nella lista dei testi da ultimo comunicata alle difese, circostanza che ha fatto infuriare gli avvocati, tanto da spingere la Corte a rispedire il teste a casa. La Corte ha dunque pronunciato un’ordinanza con la quale ha dato atto che le difese erano state indotte in un errore e non avendone alcuna colpa non potevano essere tenute ad escutere quel teste. «Anche l’odierna udienza - ha commentato a margine Canestrini - è stata segnata dall’ennesimo errore della rappresentante della pubblica accusa, che ha preannunciato alle parti via pec dei testi poi non citati e diversi da quelli indicati alla scorsa udienza, con la conseguenza che per metà mattina non si è potuta svolgere alcuna attività. Purtroppo l’impressione che se ne trae è di una confusione ed approssimazione anche nel metodo, che è stata confermata quando il calendario finalmente predisposto conteneva numerosi testi già rinunciati da mesi dalla stessa accusa». Prossima udienza lunedì 16 ottobre.