Quel che stupisce, dopo la votazione della legge che vieta la pubblicazione delle ordinanze di arresto, è l’iniziale dissenso del ministro Nordio. Ben altro comportamento aveva tenuto l’ex guardasigilli Cartabia sul voto che riguardava la presunzione di innocenza. Due mele dello stesso paniere, indispensabili perché l’Italia si adegui finalmente alle normative europee sulle garanzie e i diritti dei cittadini. Cioè alla norma votata nel marzo 2021, su cui la ministra del governo Draghi si era impegnata perché il nostro ordinamento si allineasse, sia pure con ritardo, alla direttiva europea del 2016 che vieta alla magistratura e alla stampa di presentare gli indagati e gli imputati come colpevoli.

Basta con le gogne mediatiche e le conferenze-stampa show dei procuratori, aveva sancito quel giorno il Parlamento, anche in quell’occasione, come quella di questi giorni, su sollecitazione di quel diavolaccio del deputato Enrico Costa (in quella circostanza affiancato dal collega di +Europa, Riccardo Magi), di cui ancora non si capisce perché il partito di Berlusconi l’abbia lasciato andare nelle fila di Azione. Dal punto di vista del pallottoliere della politica d’aula, a Montecitorio alla fine è un vantaggio per la maggioranza, dal momento che, aggiungendo anche i voti dei parlamentari di Italia Viva, con il voto di lunedi l’area di governo ha portato a casa 160 voti favorevoli su 70 contrari a una norma di grande civiltà. Quella che vieterà, dopo l’approvazione anche al Senato, la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Cioè di quei documenti che nel corso del tempo (non è sempre stato così) si sono sempre più arricchiti di intercettazioni, spesso non pertinenti, e anche di pettegolezzi e chiacchiericci. Veri pamphlet che spesso parevano cuciti apposta addosso al malcapitato indagato di turno per esporlo alla gogna, più ancora che per costruirgli un’imputazione che reggesse al processo.

Poi arrivava, a completare l’opera, la conferenza stampa del procuratore che aveva promosso il blitz, cui nella maggior parte dei casi qualche gip si era adeguato fino a firmare il provvedimento di custodia cautelare spesso in carcere. E l’ordinanza ricopiava in gran parte lunghi passi della richiesta della procura messi tra virgolette. Senza pudore, visto che diverse sentenze della cassazione avallavano l’opera di plagio, anche se in contraddizione con altrettante opinioni avverse di altre sezioni. Ma il paradosso è che tutto ciò, con un ricco florilegio di testimonianze opache e imprecise, con i “sentito dire” uniti ai “mi pare che”, ”mi hanno riferito che” veniva travasato direttamente sui giornali, nelle tv e poi sui social. Lo consentivano leggi pure loro ambigue, volute dai ministri Orlando del pd e Bonafede dei cinque stelle. E le truppe dei cronisti fedeli pronte a interpretare la formula “atti depositati a disposizione delle parti”, come atti pubblici. Cioè a disposizione della peggior gogna mediatica. Il tutto nel nome del famoso motto “calunniate, calunniate, qualcosa resterà”.

C’è stato, in questi anni, un vero mercato di queste carte, più succulente in quanto consentivano di frugare nella vita di persone la cui reputazione distrutta era tanto più appetitosa quanto più era pubblico il personaggio coinvolto. Non stupisce il fatto che un ex magistrato come Federico Cafiero De Raho, oggi deputato del Movimento cinque stelle, dia voce a quella che è l’ossessione di certi ambienti, dicendo «perché non si vuole rendere pubblico che esistono persone corrotte e appartenenti alla borghesia mafiosa?». Povera Costituzione, e povero articolo 27 sulla presunzione di non colpevolezza, se anche chi ha indossato la toga pare dimenticare che stiamo parlando del divieto di rendere pubbliche ordinanze che riguardano indagati. Indagati, non «corrotti e appartenenti alla borghesia mafiosa»!

Ma il parlamentare del gruppo grillino della Camera è in buona compagnia, visto che si sta già muovendo a manifestare il sindacato dei giornalisti, la Fnsi, sempre pronta a gridare contro il «bavaglio alla stampa». E senza pudore sono in prima fila nella protesta proprio quei giornalisti grandi firme i cui maneggi con i magistrati nel traffico di carte coperte da segreto erano usciti allo scoperto ai tempi della vicenda Palamara e delle intercettazioni con il trojan.

Un po’ più inspiegabile e contraddittorio appare comunque il comportamento del governo e del ministero di giustizia, a partire dal guardasigilli Carlo Nordio, che era contrario all’emendamento Costa e ha poi dovuto cedere. Possibile che, quando programmava la propria riforma sulle intercettazioni intendesse solo limitarne la divulgazione senza prevedere di metterne in sicurezza il contenitore? E quindi ritenere che la mela marcia stesse in un cestino sano? E’ singolare il fatto che solo l’insistenza di un singolo deputato di opposizione, che evidentemente aveva la forza di trascinare con sé anche l’intera maggioranza, e il suo “ricatto” sul voto segreto, sia riuscito a muovere la montagna di un governo ritroso. Che evidentemente sulla giustizia è ancora debolissimo. E anzi, finora addirittura contro-riformatore.