Era un giorno di nove anni fa. Il processo al nostro Giovanni Maria Jacobazzi era ancora al primo grado. Lui volle che uno dei colleghi del Dubbio  seguisse un'udienza al Tribunale di Parma. Ascoltai, e le tesi mi sembrano fragili. Ma ci sono volti nove anni, appunto, perché Giovanni, oggi apprezzato giornalista del Dubbio , aveva giustizia e si vedesse assolto con formula piena da imputazioni che avevano distrutto la sua precedente vita, la sua precedente brillante carriera di ufficiale dei carabinieri.

Tutto era cominciato ancora otto anni prima di quel giorno a Parma, nel 2008 . Silvio Berlusconi era tornato per la quarta volta a Palazzo Chigi, Facebook stava per arrivare in Italia. L'e-commerce non esisteva, Steve Job aveva presentato da poche settimane il primo iPhone. E la Procura di Parma avviava l'indagine sulle presunte tangenti che sarebbero girate sotto l'amministrazione di centrodestra , all'epoca al governo della città ducale.

Nelle scorse settimane, a quasi vent'anni di distanza e in un mondo completamente diverso, è calato definitivamente il sipario su quell'indagine, poi ribattezza “Green money”, che portò all'arresto del sindaco Pietro Vignali (FI) , di diversi assessori e dirigenti. L'ultimo a uscire di scena è stato, appunto, il nostro Giovanni Jacobazzi, all'epoca dei fatti direttore del settore Sicurezza del Comune, comandante della polizia municipale e responsabile della Protezione civile. Jacobazzi finì nell'inchiesta per un micro appalto da 10mila euro, relativo alla realizzazione dello spazio esterno del canile della polizia municipale. L'accusa era di aver intascato una mazzetta pari alla metà dell'importo del lavoro . Dopo gli arresti in diretta tv all'alba del 24 giugno 2011, per l'avviso di conclusione delle indagini bisognerà attendere il 2015. Quattro anni. La sentenza di primo grado arriverà ancora due anni dopo.

L'accusa di corruzione nel corso del processo si trasformò in abuso d'ufficio : l'imprenditore dichiarò che non erano mai girati soldi, e molte intercettazioni, il pilastro dell'inchiesta, erano state male interpretate dai finanzieri, tutti premiati con un encomio per la brillante attività investigativa. Il processo di primo grado si conclude dunque nel 2017 con una condanna di Jacobazzi per “tentato abuso d'ufficio” . In pratica non aveva intascato un euro ma aveva cercato di “violare” le norme del codice appalti per favorire l'imprenditore.

L’appello verrà fissato a distanza di ben 5 anni. La Corte di Bologna, letto il fascicolo, con un tecnicismo procedurale rimandò tutto in primo grado: se era cambiato il reato previsto dall’originario capo d’imputazione ( da corruzione ad abuso d’ufficio, appunto), era necessaria una nuova contestazione.

Il mese scorso il Tribunale di Parma ha ricelebrato, a distanza di 15 anni dai fatti, il processo a Jacobazzi. Una sorta di “macchina del tempo” giudiziaria. Nonostante fosse sopravvenuta nel frattempo la prescrizione, e addirittura l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, con le medesime fonti di prova del 2011 il collegio presieduto da Maurizio Boselli ha deciso di entrare lo stesso nel merito della vicenda e di assolvere Jacobazzi con formula piena per non aver commesso il fatto.

L’inchiesta, finita nel nulla, verrà ricordata per i tempi incredibilmente lunghi e per altri aspetti singolari. L’allora capo della Procura di Parma, Gerardo Laguardia, aveva deciso di candidarsi alle elezioni con il Pd, il partito che era all’opposizione dell’amministrazione di centrodestra bersaglio degli inquirenti. Il marito della pm Paola Dal Monte aveva fatto domanda per assumere l’incarico ricoperto, prima dell’inchiesta, da Jacobazzi.

La circostanza suscitò un certo clamore e alcune interrogazioni parlamentari. L’Anm rispose con comunicati in cui esprimeva “viva preoccupazione per i contenuti e i toni delle polemiche che hanno investito i magistrati titolari delle indagini attualmente in corso presso gli uffici giudiziari di questa città in ordine a varie ipotesi di reato contro la Pubblica Amministrazione. Respingiamo con forza”, si leggeva in una di quelle note, “la tesi secondo la quale la magistratura farebbe deliberatamente un uso aberrante delle sue funzioni per perseguire scopi politici o addirittura vantaggi personali: questa distorta rappresentazione della realtà produce il gravissimo effetto di delegittimare nella sua interezza agli occhi dell’opinione pubblica una delle articolazioni fondamentali dello Stato”, aggiunsero dall’Anm.

Laguardia, soprannominato da alcuni giornali il “nuovo Di Pietro”, per mesi fu protagonista nelle pagine della stampa locale, con conferenze stampa durante le quali leggeva le intercettazioni.

La Procura di Ancona iscrisse sia Laguardia che Dal Monte nel registro degli indagati, per l'ipotesi di abuso d'ufficio . La pm "avendo un interesse personale e del proprio coniuge all'affidamento dell'incarico di comandante della polizia municipale del comune di Parma al suddetto coniuge, e omettendo di astenersi in relazione al procedimento penale n. La magistrata "aveva l'obbligo di astenersi nell'indagine a carico di Jacobazzi (...)" e "un interesse personale all'assegnazione a tempo indeterminato del posto di Comandante della Polizia municipale di Parma al proprio coniuge", scrissero i pm di Ancona, competenti per i reati dei colleghi emiliani.

Il procedimento si chiude però con un'archiviazione , sulla base di un presunto rapporto di pregiudizialità intercorrente dovendo attendersi “le valutazioni dei giudici di merito” per quanto riguardava la fondatezza dell'accusa a Jacobazzi.

Anche la Procura generale, per la cronaca, aprì un procedimento disciplinare a carico della pm. Stesso risultato: archiviazione . Il procedimento contro Giovanni Jacobazzi, è il caso di ripeterlo, si è concluso solo quest'anno. Pochi giorni fa.