Emblematica è la reazione suscitata fra le toghe dall’intervento con cui mercoledì scorso Nordio ha ribadito la difesa di Andrea Delmastro, il sottosegretario alla Giustizia nel mirino delle opposizioni per aver consegnato al collega di partito Giovanni Donzelli l’informativa su Cospito, poi citata in aula, lo scorso 31 gennaio, dal deputato di FdI e vicepresidente del Copasir per insinuare un “favoreggiamento morale” del Pd nei confronti della mafia.

Tra le repliche che la magistratura ha rivolto al ministro colpisce quella di Eugenio Albamonte, segretario di Area, corrente progressista dell’Anm, e tra le figure di maggior rilievo dell’intera magistratura associata: nell’intervista rilasciata sulla Stampa di ieri il pm romano non solo ha puntigliosamente controbattuto alla tesi di Nordio, secondo il quale è l’amministrazione che forma l’atto a stabilirne l’eventuale segretezza, ma ha intravisto una «attività di interferenza dal vago sapore intimidatorio» nelle parole con cui il guardasigilli ha concluso il proprio discorso mercoledì a Montecitorio.

Albamonte ha contestato soprattutto il passaggio in cui il guardasigilli ha avvertito che, se la Procura di Roma insistesse nel rivendicare il potere di definire lei la segretezza degli atti amministrativi, si creerebbe un conflitto «che potrebbe e dovrebbe essere risolto in un’altra sede». E quando il giornalista della Stampa ha fatto notare che evidentemente Nordio si riferiva a un possibile conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta, il leader dei magistrati progressisti ha ribattuto: «Allora meglio specificare, uscire da un’ambiguità pericolosa quando chi parla ha poteri così rilevanti».

Cosa può venire fuori da tutto questo? Uno strano corto circuito, di sicuro, una contrapposizione ancora più aspra fra Nordio, l’Anm e la magistratura in generale, che emergerà con fragore non appena governo e maggioranza accelerassero sulle riforme più delicate, a cominciare dalla separazione delle carriere. Più il contrasto fra via Arenula e le toghe si inasprisce, più accidentato rischia di rivelarsi il percorso di quella legge costituzionale, o di altri provvedimenti sensibili come il restyling sulle intercettazioni. Proprio attorno agli “ascolti” si è sprigionata la prima scintilla: quando Nordio ha illustrato la propria relazione programmatica alle Camere, ha subito messo su tavolo la questione delle conversazioni captate e poi “lasciate tracimare” sui giornali.

Su quel versante, oltretutto, il ministro della Giustizia è destinato a entrare in rotta di collisione diretta con il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, anche per un aspetto “personale”: l’attuale vertice del “sindacato” dei giudici ha personalmente confezionato, quando era capo del Legislativo di via Arenula, la riforma delle intercettazioni targata Andrea Orlando. Una circostanza che rischia di accrescere il carattere “strutturale” del contrasto fra Nordio e la magistratura associata.

E se la tensione si esaspera, il rischio è di dover assistere al clima fatale del 2005- 2006, quello che precedette e accompagnò il tentativo di riforma della giustizia compiuto dall’allora guardasigilli Roberto Castelli. In generale, l’intero cammino del governo sulla materia penale finirebbe per diventare impervio. Anche considerato che il ministro della Giustizia deve già scontare divisioni politiche interne alla maggioranza.

Se sulle carriere separate di giudici e pm sono tutti d’accordo, il discorso cambia nel momento in cui si passa a un altro dossier che pure dovrebbe essere trattato a breve come l’abuso d’ufficio: Nordio sarebbe pronto a eliminare del tutto il reato, ma già la responsabile Giustizia della Lega, Giulia Bongiorno, chiede con tono piuttosto sbrigativo di limitarsi a semplici modifiche. E anche sull’addio alla legge Severino le posizioni rischiano di rivelarsi assai variegate, per non parlare del sempre complicato tema dell’esecuzione penale.

Se insomma precipita e si compromette del tutto il rapporto coi magistrati, Nordio rischia di trovarsi più isolato di quanto non sia già per la matrice garantista delle proprie idee, non sempre condivisa da Fratelli d’Italia, oltre che dalla Lega.

Le nuove difficoltà del guardasigilli con l’ordine giudiziario si sprigionano proprio attorno alla difesa di Delmastro, prima linea sulla giustizia nel partito di Giorgia Meloni: è chiaro che il guardasigilli non può abbandonare a se stesso il sottosegretario di FdI, ma è anche vero che il caso delle informative su Cospito è ormai un fattore di paralisi del governo sulla giustizia. Lo fanno notare anche dal Terzo polo, dove Nordio in teoria dovrebbe trovare sponde anziché obiezioni: il ministro «sta frenando su tutti i provvedimenti annunciati in campagna elettorale, a partire dalla separazione delle carriere», è il commento che proviene dai centristi. Un certo stallo è evidente: non è decollato l’iter sulla separazione delle carriere, non c’è ancora notizia del confronto al ministero da cui dovrebbe definirsi la strategia sull’abuso d’ufficio, restano in sospeso altri progetti importanti come l’inappellabilità delle assoluzioni.

Solo da pochi giorni è stata costituita la commissione che dovrà valutare ed eventualmente emendare la riforma penale di Cartabia. Di fatto, il caso Cospito, sul quale oggi la Cassazione potrebbe scegliere un annullamento con rinvio dalle ricadute imprevedibili, è diventato un vortice, e ha inghiottito lo slancio di Nordio. Ora circondato, più di quanto non fosse già, dall’ostilità di opposizioni e magistrati.