Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale pronunciato dal presidente del Cnf all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024 in Cassazione.

Signor Presidente della Repubblica, Signora Prima Presidente della Corte di Cassazione, Signor Procuratore Generale, Signor Ministro, Autorità, Avvocate e Avvocati, Magistrate e Magistrati, Signore e Signori,
la Costituzione italiana, all’articolo 24 pone la difesa come “… diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, e all’articolo 111 dispone che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, di fronte ad un giudice terzo e imparziale”. Principi che trovano attuazione in più norme dei nostri codici di rito, tra cui l’articolo 101 del codice di procedura civile, che sancisce che il giudice non può pronunciarsi se la parte non è stata regolarmente citata o non è comparsa e, in ambito penale, gli articoli 178 e 179 del codice di rito, che indicano come ipotesi insanabile di nullità degli atti del processo l’omessa citazione dell’imputato o l’assenza del difensore, laddove sia obbligatoria la presenza.
Il Presidente della Repubblica, in occasione della Sua seconda elezione, ha rivolto al Paese la richiesta di un “profondo processo riformatore della giustizia”, chiedendo rigore per far recuperare fiducia nella giurisdizione. Richieste che riteniamo il legislatore non abbia interpretato nel senso dovuto.
Riforme del rito civile – ovvero dei processi che riguardano le questioni private, economiche, commerciali, culturali e sociali del Paese – hanno, di fatto, chiuso le porte dei Palazzi di Giustizia agli avvocati e, quindi ai cittadini, costruendo il paradosso di un “processo senza processo”. Giustificata dall’esigenza di non paralizzare l’attività giudiziaria durante l’emergenza covid, la tendenza a non celebrare udienze, nel settore civile, oggi è diventata la regola. Non è indifferente che il giudice decida la causa soltanto leggendo gli atti senza mai avere mai incontrato o visto o ascoltato le parti e neanche i loro difensori. L’abuso del sistema della trattazione scritta nel processo civile colpisce direttamente il contradditorio e il diritto di difesa.
Nel processo penale alcune riforme hanno leso profondamente il principio, prima richiamato, della difesa come “diritto inviolabile”. L’articolo 581 del codice di procedura penale, come modificato dal decreto legislativo 150 del 2022, afferma che nel caso in cui in primo grado si sia proceduto in assenza dell’imputato, per proporre appello occorre, a pena di inammissibilità, uno specifico mandato rilasciato dopo la sentenza.
È convinzione dell’avvocatura italiana che il legislatore abbia gravemente sottovalutato le conseguenze di questa norma, che finisce col precludere, di fatto, ai cittadini meno abbienti, agli emarginati, ai più deboli, la possibilità di appellare la sentenza di primo grado. Nel caso di coloro che il legislatore ha chiamato “assenti”, si tratta quasi sempre di persone che in primo grado non si sono presentate innanzi al giudice perché non erano in condizione di dotarsi di un difensore di fiducia, per cui ne hanno avuto assegnato uno d’ufficio il quale, pur con ogni impegno e diligenza, raramente riesce anche soltanto a mettersi in contatto con loro. È quindi illusorio credere che queste persone – perché parliamo di persone, non di numeri – si trovino in condizione di conferire, nei tempi brevi per proporre l’impugnazione, un regolare e speciale mandato ad un difensore. A costoro sarà riservato un solo grado di giudizio. E questo è un arretramento del livello di civiltà giuridica del nostro Paese.
Voglio però tornare al monito del Presidente della Repubblica a proposito dell’invocato processo riformatore della giustizia. Il Consiglio Nazionale Forense ha insediato una commissione che procederà a riscrivere lo “statuto dell’avvocatura”, le regole che riguardano noi avvocati, per rivedere l’accesso, la formazione permanente, la specializzazione, la deontologia, al fine di fare tutto ciò che occorre per elevare il livello di preparazione giuridico-culturale degli avvocati italiani e renderli pronti ad assolvere alla difesa dei diritti, per come essa merita. Anche la magistratura vorremmo che accettasse di rivedere il proprio status e le proprie prerogative. La separazione delle carriere non è più differibile. È indubbio che, nel rispetto dell’articolo 111 della Costituzione, accusa e difesa devono essere equidistanti dal giudice, e non potranno esserlo fin quando ci saranno due soggetti che hanno superato lo stesso concorso, che hanno la stessa carriera, che hanno lo stesso organo di autogoverno, che fanno insieme l’aggiornamento formativo, che indossano la stessa Toga. Insomma, due colleghi, uno che accusa e l’altro che giudica, ed un estraneo, l’avvocato, che svolge la difesa.
È urgente inoltre intervenire sul numero dei magistrati in servizio, unico strumento per rendere la giustizia celere e Giusta. I dati dell’ultimo rapporto pubblicato dal Cepej, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa, vedono l’Italia agli ultimi posti delle classifiche europee. In Italia abbiamo 11,86 giudici professionali ogni 100.000 abitanti, a fronte della media dei 44 Paesi europei (non solo dei 27 facenti parte dell’Ue) ove invece ce ne sono quasi il doppio: 22,2 giudici professionali ogni 100.000 abitanti.
Nel nostro Paese, sempre su 100.000 abitanti, abbiamo 35,76 assistenti giudiziari a fronte dei 56,13 dei Paesi europei, così come abbiamo 3,83 Pubblici ministeri, per 100.000 abitanti, a fronte degli 11,10 nella media dei Paesi europei: quasi quattro volte di più.
Tutto ciò si riflette, inevitabilmente, sui tempi medi di definizione dei procedimenti: in Italia, in primo grado, il termine medio di definizione di un processo civile è di 675 giorni, mentre è di 498 giorni il tempo medio di un processo penale, a fronte della media dei Paesi europei, ove è di 237 nel civile e 149 nel penale. In appello e in Cassazione la distanza aumenta a dismisura, rispetto all’Europa. Nel civile è di 1026 giorni la durata media di un processo in grado di appello e di 1526 giorni in Cassazione: nella media europea è di 177 giorni in appello e 172 in Cassazione. Nel rito penale, i tempi medi sono di 1167 giorni in un processo di appello e di 237 giorni in Cassazione, mentre in Europa sono di 121 giorni in appello e 120 giorni in Cassazione. Queste differenze tra l’Italia e la media dei Paesi Europei non sono più tollerabili e l’Avvocatura ha il dovere di segnalarlo.
È un dato ormai acclarato che la lentezza della giustizia costa al sistema Paese due punti percentuali in termini di Pil per le cause ben note, come ha ricordato il ministro della Giustizia. Dunque, si “investa” lo 0,50 di quel 2% di perdita del Pil, destinando risorse al reclutamento di magistrati, coprendo le piante organiche, anzi riscrivendole in relazione alle effettive necessità, riducendo il numero dei magistrati che non svolgono più funzioni giudiziarie. Si annullino le circolari del Csm, che autorizzano la riduzione del carico di lavoro, fino al 50%, per i magistrati componenti i Consigli giudiziari o che si occupano di formazione decentrata.
I nostri magistrati sono tra i migliori di tutta l’Europa, e ce lo dicono le percentuali di smaltimento delle sopravvenienze, ben più alte della media europea, ma le condizioni attuali in cui operano vanificano tutti i sacrifici, e rendono la giustizia non all’altezza dello Stato di diritto.
La collaborazione tra Avvocatura e Magistratura è indispensabile. Desidero ringraziare la Prima presidente della Corte di Cassazione per l’iniziativa, ispirata al principio di collaborazione con l’Avvocatura, a cui ha fatto cenno anche nel suo intervento. Iniziativa che ha voluto tenere insieme al Consiglio Nazionale Forense e che prevede di far svolgere 6 incontri in materia ciuvile e 6 inbcontri in materia penale sulle tecniche redazionali del ricorso per Cassazione. In questi incontri, intitolati appunto “Dialoghi” e non “lectio magistralis”, 12 magistrati della Corte e 12 avvocati collegati via web con tutta l’Italia hanno appunto dialogato sulla composizione del ricorso per Cassazione affrontando le difficoltà tecniche che noi avvocati troviamo nella predisposizione degli atti, e gli aspetti a cui i giudici, dal canto loro, occorre ripongano maggiore attenzione. È senza dubbio questa la strada che mi auguro possa essere seguita anche nei distretti di Corte d’Appello: la strada della collaborazione.
L’avvocatura italiana è pronta a fare la sua parte, sia nelle Aule di Giustizia, dove vogliamo rientrare fisicamente a pieno titolo, sia, più in generale, nella società italiana, dove vogliamo e dobbiamo svolgere in ogni contesto la nobile funzione di difesa dei diritti alla quale ci chiama la Costituzione della Repubblica democratica.