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LA CONDANNA
Arriva in un momento topico la sentenza, l’ennesima, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l'Italia per l’eccessiva durata dei processi ( e l’inadeguatezza dei relativi rimedi). Si abbatte mentre il Parlamento è chiamato all'ultimo sforzo sulla riforma del Csm. La coincidenza non è irrilevante: in una riunione di maggioranza tenutasi mercoledì sera, infatti, sono riaffiorati i malumori di due partiti dell’alleanza di governo: Lega e Italia viva.
Dal fronte renziano, il vicecapogruppo Giuseppe Cucca parla addirittura di un «ricatto» per la richiesta, avanzata dal governo, di approvare «senza discussione», protesta il senatore, «una modifica strutturale ed essenziale».
A Ennesima condanna della Cedu all’Italia per i processi infiniti
Arriva in un momento topico. La sentenza, l’ennesima, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per l’eccessiva durata dei processi ( e l’inadeguatezza dei relativi rimedi) si abbatte mentre il Parlamento è chiamato all’ultimo sforzo sulla riforma del Csm. La coincidenza non è irrilevante: in una riunione di maggioranza tenuta mercoledì serra, infatti, sono riaffiorati i malumori di due partiti dell’alleanza di governo: Lega e Italia viva. Entrambi chiedono che «la discussione a Palazzo Madama non sia mortificata». E, dal fronte renziano, il vicecapogruppo Giuseppe Cucca parla addirittura di «ricatto» per la richiesta, avanzata dal governo, di approvare «senza discussione una modifica strutturale ed essenziale». Da una parte dunque le ritrosie di alcuni partiti sul via libera a una legge sollecitata anche dall’Europa come condizione per erogare i fondi del Pnrr. Dall’altra l’ennesima bacchettata che proprio da una Corte europea l’Italia si vede infliggere per le debolezze del proprio sistema giudiziario.
LA PRONUNCIA SUI VECCHI VIZI DELLA LEGGE PINTO
Riguardo alla pronuncia di Strasburgo depositata ieri ( relativa al ricorso capofila numero 15566/ 13 e ad altri cinque che appunto sono stati accorpati), va detto che a essere colpito è un vulnus della legge Pinto superato nel 2018 da una sentenza, la numero 88 di quell’anno, della nostra Corte costituzionale: il punto è che, fino a quella pronuncia di illegittimità, la disciplina sulla riparazione per irragionevole durata del processo era viziata dall’impossibilità di chiedere ristori fino a che non si fossero chiusi tutti i gradi di giudizio. Così come aveva fatto all’epoca la Consulta in Italia, la Corte europea ha rilevato come vada sempre consentito, al cittadino “ostaggio di un processo” di chiedere il risarcimento già a partire dal momento in cui è acclarato lo sforamento rispetto alle soglie per la durata ragionevole fissate dalla legge. La sentenza di Strasburgo, emessa dalla prima sezione ( presidente Marko Bošnjak, rubricata come “Causa Verrascina e altri contro Italia”) dà ragione a cittadini coinvolti in vicende giudiziarie precedenti la sentenza costituzionale del 2018 e che si erano rivolti alla Cedu tra il 2013 e il 2015. Con la decisione depositata ieri ( anch’essa per la verità tardiva rispetto alle ingiustizie sofferte dai ricorrenti, ma in linea coi tempi ordinari della Corte) Strasburgo condanna l’Italia a riconoscere ulteriori ristori, dal più alto che è quantificato in 22mila euro ai 17mila del più basso. La sentenza fa riferimento anche a un ulteriore limite della legge Pinto: l’impossibilità di poter efficacemente reclamare l’accelerazione del processo una volta raggiunta la soglia massima tollerabile di durata. A risultarne, in generale, è un quadro in cui l’Italia mostra dunque di affrancarsi sempre con molta fatica da un paradigma poco coerente con lo Stato di diritto, in cui l’utente della giustizia è tendenzialmente trattato da suddito, o è comunque costretto ad arrendersi davanti agli autocratici dinieghi della burocrazia giudiziaria.
ALTRI OSTACOLI PER IL DDL RECLAMATO DALL’EUROPA
E una riforma che vorrebbe provare a scalfire l’intangibilità dell’assetto, quale dovrebbe essere il ddl sul Csm appena licenziato in prima lettura alla Camera, dovrà fare i conti come detto con il dissenso di parte della maggioranza. Nella riunione di mercoledì sera Lega e Italia viva hanno ribadito alla guardasigilli Marta Cartabia e al ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà che non intendono rinunciare a proporre modifiche dell’articolato uscito da Montecitorio. La responsabile della Giustizia ha ricordato che se si vogliono celebrare a luglio le elezioni per il nuovo Csm con le nuove regole, la legge dovrà essere definitivamente approvata a Palazzo Madama per il 20 maggio. Ipotesi non semplicissima, anche considerato che a presiedere la commissione Giustizia, dove il ddl Cartabia è incardinato, è un leghista come Andrea Ostellari, il quale ha già chiesto che chi vorrebbe impedire l’effettivo esame del testo «se ne assuma la responsabilità». E d è comunque molto netta, come detto, la posizione di Italia Viva, evidentemente pronta a dare battaglia ancor più di quanto avvenuto a Montecitorio: «La pretesa che uno dei due rami del Parlamento resti silente di fronte a un provvedimento delicato come quello della riforma del Csm, dopo l’approvazione a Montecitorio, è fuori dal dettato costituzionale», ha detto ieri Cucca, che nel partito renziano, oltre a essere vicecapogruppo al Senato, è anche rappresentante in commissione Giustizia. Definisce appunto «un ricatto» l’allarme del governo relativo all’approssimarsi del voto per il nuovo Csm: la scadenza, per il parlamentare, «era nota da sempre, e da sempre Italia Viva chiedeva inutilmente di passare dalle parole ai fatti. Allora è lecito pensare che qualcuno abbia voluto tergiversare per fare in modo che le cose restassero immutate», ha insinuato il senatore, e ha ribadito come di fronte a una riforma che, «fatti salvi alcuni aspetti marginali», giudica «insignificante» , il suo partito ha «intenzione di lavorare ancora» per
migliorarla.