Se ancora qualcuno pensa di usare lo strumento giudiziario nelle campagne elettorali, sarà meglio che si rassegni e cominci a cambiare strategia. Il vento è cambiato, e la dimostrazione più chiara l’ha data il popolo calabrese che per la seconda volta consecutiva, fatto inedito in quei luoghi, ha indicato Occhiuto al vertice della Regione.

La Calabria ha dimostrato, ma ne avevamo avuto già un assaggio la settimana scorsa nelle Marche, che sempre più inesistente è la paura del “lupo cattivo”, l’informazione di garanzia. Gli elettori non entrano nel seggio con in mano il codice penale, gli articoli 318 e 319 della corruzione ormai non spaventano. E non c’è più la fiducia illimitata nell’ “ipse dixit”, l’ha detto il magistrato quindi è vero.

Del resto, nello sbalordimento di quelli più sensibilizzati al tema, non era stato lo stesso Giuseppe Conte a dare il via libera del Movimento 5 Stelle, alla candidatura di Matteo Ricci, “dopo aver letto le carte” della sua informazione di garanzia? Lontanissimi i tempi del “Parlamento degli indagati” che gli uomini di Grillo volevano aprire come una scatoletta di tonno. Conte abbozza, e i cittadini cominciano ad adeguarsi.

Il 44,4% dei voti del candidato del Campo largo, contrapposto al 52,4% del presidente riconfermato delle Marche Francesco Acquaroli, è accettato come un evento naturale e proporzionato alla situazione politica generale. Chi vota, e anche chi decide di restare a casa, in numero purtroppo sempre più elevato, non sente più le sirene delle manette. C’è un clima generalizzato di sfiducia nella magistratura. O quanto meno di indifferenza. Persino un condannato definitivo per omicidio come Alberto Stasi sta godendo in queste settimane un’insperata popolarità positiva, a causa di nuove indagini che confondono le idee. E il neoindagato Sempio è vissuto come nuova vittima al pari della precedente.

La storia politico-giudiziaria della Calabria ha molto da insegnare. E qualche partito, quello di Elly Schlein in testa, ha molto da imparare. Dalla storia calabrese di Luigi de Magistris, per esempio, dalle inchieste fallimentari che gli valsero il soprannome di “Giginedduflop”, ma gli regalarono grande popolarità e l’elezione a sindaco di Napoli, fino all’arrivo a Catanzaro del procuratore Nicola Gratteri. Il governatore Occhiuto non solo nei giorni del trionfo di oggi, ma anche prima di decidere la candidatura anticipata, ha ricordato come “troppe volte le inchieste giudiziarie sono state strumentalizzate per tentare di sconfiggere per via giudiziaria chi non lo sarebbe stato politicamente”.

Certo, uno dei figli di Forza Italia, pur se arrivato per vie collaterali, ha sempre in mente il proprio capofamiglia Silvio Berlusconi. Ma mantiene alle proprie spalle anche un ingombrante fantasma del campo avverso come Mario Oliverio. Perché la storia della Calabria ha avuto i suoi anni di amministrazione di sinistra e il ricordo di un personaggio come Giacomo Mancini. Che non era certo di destra, ma che sapeva ben fronteggiare la magistratura.

Oliverio era il presidente della Calabria eletto nel 2014 col 61% dei voti, era un esponente di prestigio del Pd, era un uomo potente, quando nel dicembre 2018 la magistratura si accorse di lui. Il procuratore Gratteri, mentre si impegnava, come aveva dichiarato all’atto dell’insediamento, a “smontare la Calabria come un lego”, voleva mettergli le manette. Non ci riuscì, neppure a spedirlo ai domiciliari. Ottenne dal gip solo una sorta di confino, come quelli dei mafiosi, a San Giovanni in Fiore, il suo paese, dove il governatore rimase per tre mesi.

Fu il suo capolinea politico. Il clima era quello del “crucifige!", per chiunque fosse infangato dall’intervento dei pm. E benché Oliverio mostrasse orgogliosamente il petto alle baionette, iniziasse subito lo sciopero della fame, dichiarando che non avrebbe consentito a nessuno, neanche a Gratteri, di “infangare la mia storia”, fu pugnalato dall’ordinaria pavidità del suo stesso partito. Che fece spallucce persino al pronunciamento della Cassazione, che aveva ribaltato il teorema della Procura denunciando un “chiaro pregiudizio accusatorio”.

Quel che succederà in seguito in Calabria sarà ancora peggio, con il blitz del 19 dicembre 2019 e Gratteri che già si presentava come il Falcone di Calabria. Se fu grave la costrizione alla rinuncia della candidatura di Oliverio alle Regionali che susseguirono, ancora di più lo fu il sentir dire dal candidato della sinistra, l’imprenditore Pippo Callipo, che ci voleva il ricambio della classe dirigente. La paura, il terrore, il ricatto, furono il sale con cui la sinistra condì la minestra elettorale del 2020 in Calabria.

Si era consegnata mani e piedi a chi voleva smontare la regione per via giudiziaria. E gli elettori si erano adeguati. L’elezione di Jole Santelli, esponente di Forza Italia, fu vissuta come persona nuova e fresca da contrapporre al marcio del passato. Sia chiaro che la giovane avvocata calabrese quell’elezione l’aveva meritata, per le proprie capacità e il grande amore per la propria terra. Ma indubbiamente la vicenda giudiziaria che colpì Oliverio pesò nella svolta politica. Da cui non si tornerà più indietro, neppure quando, un anno dopo, Santelli ci lasciò, in piena pandemia da covid, il che ingarbugliò parecchio la situazione e costrinse a un rinvio elettorale al 2021, che vedrà la prima vittoria di Occhiuto.

Oggi giustamente Oliverio rivendica la propria storia e presenta il conto al proprio partito. “Il Pd -dice in un’intervista al Foglio- è alla terza sconfitta consecutiva in Calabria. Il centrosinistra è ormai da tempo ripiegato in una posizione subalterna alla magistratura e al giustizialismo, tanto da aver pensato persino di candidare Gratteri”. Tutto vero. Ma forse gli stessi giustizialisti che hanno troncato la carriera politica di un loro esponente brillante come forse in Calabria la sinistra non ha più avuto, continuano a indossare ancora quei vecchi occhiali che li portavano a braccetto ai pm fino alle vittorie elettorali.

È tutto cambiato, invece. Nelle Marche, la sconfitta di Ricci è tutta politica, inutile piangere sulla “sfortuna” di quell’intervento giudiziario. E

del resto lo stesso governatore Acquaroli, il quale pure aderisce a un partito come Fratelli d’Italia che non ha la tradizione garantistica di Berlusconi, ha detto subito che non avrebbe usato l’avviso di garanzia del candidato concorrente in chiave elettorale.

Forse lo ha fatto qualcun altro, ma tutti i sondaggisti sono stati concordi nell’affermare che anche senza l’intervento della magistratura, il risultato sarebbe stato identico. E quando, nello stesso giorno in cui Conte sdoganava la candidatura di Ricci, il governatore della Calabria annunciava, senza mostrare timore per l’inchiesta, lo scioglimento del Consiglio e l’avvio di nuove elezioni, è avvenuta la vera svolta culturale. Nessuno ha più paura della magistratura. Soprattutto il popolo elettore. Lo capiranno anche i dirigenti dei partiti che fino a ieri hanno cercato di lucrare sulle inchieste?