Dura presa di posizione del coordinamento della Camere penali calabresi sulla vicenda di Paolo Orofino, giornalista de Il Quotidiano del Sud, che ha scoperto all’inzio del 2024 di essere oggetto di intercettazioni da parte della procura di Salerno con un trojan nel telefonino. Una intercettazione partita nel 2020, durata due mesi, durante la quale Orofino non era iscritto come indagato in quel procedimento penale. I penalisti calabresi in una nota sottolineano come «si levano scudi quando si denuncia l’abuso delle intercettazioni e si invoca la necessaria separazione delle carriere tra Uffici di Procura e mezzi di informazione, mentre passano quasi inosservati gli abusi dell'autorità inquirente contro la libertà di informazione».

Il coordinamento della Camere penali calabresi invitano alla riflessione e a uno «scatto di orgoglio, un richiamo alla verità del nostro tempo e alla serietà delle nostre funzioni». Gli avvocati aggiungono: «Non è sorprendente, allora, che passino ( quasi) inosservati gli abusi dell'autorità inquirente contro la libertà di informazione. Sembra non interessare agli agiografi della democratura giudiziaria il fatto che un giornalista, nella specie Paolo Orofino de Il Quotidiano del Sud, nell’esercizio della sua professione e a motivo del suo lavoro, venga intercettato con il più potente, invasivo, indiscriminato strumento di spionaggio. Non interessa scoprire che “la bomba atomica dell'investigazione” possa attivarsi nei confronti di soggetto estraneo all'indagine e sulla base di ipotesi di reato tanto evanescente da essere considerata manifestamente infondata all'esito dell'indagine esplorativa». I penalisti sottolineano che «di fronte a uno strappo così forte con la libertà e le stesse fondamenta della democrazia, ci si sarebbe attesi una reazione immediata, istintiva, corale, un’insurrezione dei colleghi giornalisti e della stampa in difesa della libertà di tutti, messa in discussione dalle modalità insidiose e invasive con le quali è stata schiacciata e compressa quella del singolo, in questo caso di Orofino. E, invece, questa reazione ( caratteristica di ogni paese civile) non è arrivata. Anzi. È accaduto il contrario. Il silenzio è stato ( quasi) assordante. Abbiamo così compreso che ci sono bavagli finti, sui quali si strilla, per non modificare il comodo status quo ( sul cui altare un collega può ben essere sacrificato), e bavagli veri, che invece funzionano bene, e fanno paura. Eccome. E allora occorre uno scatto di orgoglio, un richiamo alla verità del nostro tempo e alla serietà delle nostre funzioni. Speriamo, ancora, in un colpo di reni e che ciò accada. Altrimenti avremo consentito un ulteriore stato di avanzamento nel percorso di “tolleranza autoritaria” che la nostra società civile (?) sta indifferentemente consentendo».