Ventidue foto e i volti di molti politici italiani. Ci sono Andrea Cozzolino, Alessandra Moretti, Brando Benifei, Pietro Bartolo e anche l’attuale ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani. Che non c’entrano nulla con l’indagine sul Qatargate, ma nonostante questo, il 29 marzo 2023 (quindi mentre Tajani era già in carica), gli investigatori provano a trovare un appiglio per tirarli in ballo.

Il dettaglio emerge da un verbale di interrogatorio a carico dell’autista di una famosa azienda di limousine, al quale due agenti belgi bussano a casa alle sei del mattino, mesi dopo gli arresti che hanno sconvolto l’Europarlamento. L’uomo viene sospettato di far parte del giro di corruzione e gli investigatori mirano a scoprire, soprattutto, se abbia mai trasportato “bagagli” senza i rispettivi proprietari, forse per tracciare il giro di presunte mazzette e gioielli arrivati dal Qatar e dal Marocco direttamente agli europarlamentari che, nell’ottica dell’accusa, avrebbero lavorato per favorire gli interessi dei due Paesi sui tavoli europei. Ma soprattutto, vogliono nomi, volti, identificazioni.

L’uomo arriva in commissariato su richiesta dell’allora giudice istruttore Michel Claise e parla per un’ora e mezza. Gli investigatori sono interessati soprattutto al lavoro svolto con gli uomini del Qatar. Con i quali si approccia sempre allo stesso modo: va in aeroporto, dove atterrano sempre con un jet privato, e carica i suoi ospiti in auto. Da lì li porta in albergo, in ambasciata, al ristorante o in giro a fare acquisti. La delegazione del Qatar, in genere, rimane in città per due o tre giorni. Durante i quali l’autista rimane a disposizione. Ma se si tratta di trasportare bagagli senza accompagnatore allora non è compito suo: esiste un apposito Van, che l’autista sostiene di non aver mai guidato. A questo punto gli investigatori tirano fuori un album fotografico con 22 foto.

La prima è quella dell’ambasciatore marocchino a Varsavia Abderrahim Atmoun, la seconda quella di Maria Arena, l’eurodeputata belga che secondo le difese sarebbe stata “protetta” nel corso dell’inchiesta. Ma tra gli altri ci sono anche Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo, il marito Francesco Giorgi, Antonio Panzeri, ex eurodeputato e considerato al vertice del sistema di corruzione, e, appunto, Tajani. L’autista non riconosce nessuno, tranne l’uomo raffigurato nella foto 5. «È “Il grande capo” della delegazione del Qatar ed è sempre nel primo veicolo». Si tratta del ministro dell’economia degli Emirati Arabi, Abdullah Bin Touq Al Marri, il cui mandato di arresto è stato poi annullato, nonostante nell’ottica della procura si tratti del corruttore. «Il mio veicolo - spiega ancora l’uomo - di solito guida dietro il primo. Questa persona della foto 5 non ha mai viaggiato con me, ma durante queste delegazioni l’ho sempre visto - spiega -. In Belgio è sempre vestito in abito o jeans. Non l’ho mai visto con l’abito tradizionale come nella foto. Riconosco altre persone, ma perché le ho viste in televisione, non le ho mai viste durante il mio lavoro». Insomma, niente di niente.

Tajani era già stato tirato in ballo in precedenza. Gli investigatori, infatti, avevano confezionato un dossier sul suo conto dopo aver sentito pronunciare il suo nome da due indagati del Qatargate. Era il 20 febbraio quando in procura arrivò un documento di 25 pagine dal titolo “Identificazione di Antonio Tajani”. Un atto sottoscritto a seguito di una telefonata tra Panzeri e Atmoun, aveva raccontato il Corriere, che cinque giorni dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche commentavano i risultati.

«Tutto il mondo parla del nostro amico Tajani come presidente del Parlamento», si sente dire ad Atmoun. «Ci sono due possibilità: o presidente del Parlamento o ministro degli Affari esteri», replica Panzeri. «Mm, questo è un bene per noi! Per la squadra», risponde Atmoun. «Ma sì, non ci sono dubbi, non ci sono dubbi, non ci sono dubbi! Ma bisogna vedere», conclude Panzeri. Insomma, il termine squadra aveva attivato le antenne degli investigatori. Che si sono affidati a Wikipedia per stilare il curriculum di Tajani, il cui «percorso politico - scrivono - è stato un po’ macchiato dal caso del Dieselgate». Il ministro degli Esteri ha però sempre smentito quelle ricostruzioni e il suo nome non è mai finito nel dossier della Commissione europea d’inchiesta sul Dieselgate. Ma per gli investigatori è un segnale: «Mentre Panzeri non è più membro del Parlamento europeo ed Atmoun rappresenta, con la sua funzione di diplomatico, solo gli interessi del Marocco, è interessante che quest’ultimo faccia riferimento a Tajani Antonio, attuale ministro degli Affari esteri del governo Italiano, come persona “bene” per quella che chiama una “squadra”, senza ulteriori precisazioni».

Tajani, dal canto suo, ha smentito qualsiasi rapporto con l’ambasciatore. Ed è a lui, oltre che al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che l’ex guardasigilli Andrea Orlando si è rivolto nelle scorse settimane per chiedere di fare chiarezza sulle molte criticità di questa inchiesta. «Sono diverse le perplessità sull’inchiesta: le attività svolte dai servizi belgi nell’Europarlamento senza che informazioni ufficiali siano pervenute alle istituzioni - ha sottolineato Orlando -; l’uso della carcerazione preventiva; il controverso patteggiamento di Panzeri», ma anche l’annullamento del mandato di arresto firmato dal giudice Claise per Al Marri, per il suo collaboratore Bettahar Boudjellal e per l’ambasciatore Atmoun. «Alcuni parlamentari europei chiedono che sia fatta luce e condannata la violazione dell’istituzione parlamentare Ue da parte di polizia e servizi belgi», ha aggiunto, ricordando che «l’azione di dossieraggio avrebbe riguardato, a quanto si apprende, anche il ministro degli Affari esteri italiano attualmente in carica». Insomma, «un quadro istruttorio carente - ha concluso -, fatto di ombre che sembrano tradursi non solo nella violazione della prerogative della istituzione europea ma anche di principi costituzionali, principi sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Ue e diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione dei diritti dell’uomo».