Dopo lo sciopero dei magistrati, indetto contro la riforma della giustizia del governo, interviene Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, che in un’intervista a La Stampa difende il diritto dei magistrati a manifestare: «Non si dica che sono tutti militanti o tutti comunisti. Sono singoli magistrati che esercitano un diritto, quello allo sciopero, per segnalare al potere legislativo la loro contrarietà».

L'ex presidente della Consulta esprime forti perplessità sulla riforma proposta dall'esecutivo, temendo che questa possa portare a un ridimensionamento del ruolo dei pubblici ministeri, separandoli dal resto della magistratura.

Il rischio di un “divide et impera”

Secondo Flick, la riforma punta a frammentare la magistratura, separando i giudici dai PM e creando due organismi distinti con rispettivi Consigli Superiori della Magistratura: «La sostanza è che si scorporano i pubblici ministeri dal complesso unitario dei magistrati. Da un lato ci saranno 7.000 magistrati giudicanti, dall'altro 1.000 o al massimo 1.500 pubblici ministeri. Si creano due realtà distinte, ciascuna con il proprio Consiglio superiore».

Flick avverte che questa separazione potrebbe portare a una magistratura più vulnerabile: «È evidente il tentativo del ‘divide et impera’. Il corpo dei pubblici ministeri sarà più fragile e ridotto, e se in un primo momento potrà anche sentirsi potenziato, alla lunga finirà sotto il controllo politico».

L'ex presidente della Corte Costituzionale solleva poi un interrogativo sulle conseguenze di questa separazione: «Come dargli una fisionomia specifica? Forse collegandoli alla polizia? Saranno organismi autonomi che dipendono solo da sé stessi e da un procuratore generale? Sono tutti interrogativi, anzi uno più grande dell'altro».

L’azione penale deve restare obbligatoria

Un altro punto critico, secondo Flick, è il possibile superamento dell'obbligatorietà dell'azione penale, un principio cardine della giustizia italiana. «L'esercizio dell'azione da parte del pubblico ministero è obbligatorio e Dio non voglia che non sia più così. Sarebbe un’alterazione molto grave del principio di uguaglianza, che prescrive che l’azione penale sia esercitata contro tutti e per tutti i fatti di reato, quando ve ne sono gli estremi».

L’ipotesi di una discrezionalità nell’azione penale, avverte Flick, aprirebbe a una giustizia non più uguale per tutti, ma influenzata da scelte politiche: «La discrezionalità dell'azione penale ci porterebbe sulla via della disuguaglianza, cioè alla possibilità di decidere contro chi avviare l’azione penale».

Lo sciopero dei magistrati: un segnale, non una sfida

Infine, Flick difende la protesta dei magistrati, sottolineando che non va interpretata come un attacco al Parlamento, ma piuttosto come una forma di sensibilizzazione: «Lo sciopero non dev’essere inteso come opposizione al potere legislativo. Né mi pare sia questo lo spirito dello sciopero, bensì richiamare l’attenzione del potere legislativo mentre compie queste scelte». Una presa di posizione chiara, quella di Giovanni Maria Flick, che evidenzia i rischi e le possibili conseguenze di una riforma che, a suo avviso, potrebbe minare l’indipendenza della magistratura e alterare il principio di uguaglianza della giustizia.