Ieri, nell’ambito del filone di inchiesta sulle vicende relative al cosiddetto “dossieraggio” di esponenti politici e del mondo economico, su cui sta indagando la procura di Perugia, la commissione bicamerale Antimafia, in particolare su richiesta del vice presidente di FI d’Attis, ha richiesto l’audizione di Emiliano Fittipaldi, direttore del quotidiano Domani. Il giornalista non è indagato, ma lo sono tre colleghi del giornale da lui diretto insieme al finanziere Pasquale Striano e al magistrato della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo Antonio Laudati. Fittipaldi, a differenza degli altri auditi, ha deciso di non fare una relazione iniziale, ma di sottoporsi direttamente alle domande dei commissari. Innanzitutto ha sottolineato che «noi ufficialmente non abbiamo avuto nessun avviso di garanzia, l’invito a comparire è stato mandato a Striano, non a noi. Non abbiamo avuto nessun tipo di interlocuzione ufficiale con Cantone».

Criticamente ha rilevato: «La presidente ( Colosimo, ndr) mi ha chiamato qui e io non sono nemmeno indagato». Il vertice della commissione gli ha subito chiesto se all’interno della redazione avessero riflettuto sull’eticità di usare atti segreti e se ha pensato di cambiare organizzazione del lavoro. «Mi sorprende – ha detto Fittipaldi – questa domanda, soprattutto ad indagine ancora in corso. Si è parlato di questa inchiesta con definizione giornalistica dossieraggio e mi ha colpito in negativo. Dossieraggio vuole dire costruire dossier su persone a fini di ricatto», ha proseguito il giornalista, direttore del quotidiano di De Benedetti dal 2023, quindi da molto dopo il periodo sottoposto ad indagine. Lui, invece, ha dichiarato di aver fatto solo «complimenti» ai giornalisti e «non intendo cambiare nessuna organizzazione del lavoro visto che il frutto sono notizie di interesse pubblicate su un giornale libero. Il problema etico ci sarebbe se inventassimo notizie diffamando, non è stato mai diffamato nessuno e abbiamo sempre raccontato cose vere».

L’editore Carlo De Benedetti «non sa nulla di questa vicenda, non sa chi siano Striano o Laudati. È un editore che conosco da 14 anni e non mi ha mai detto cosa scrivere, chi sentire, cosa fare», ha continuato Fittipaldi sollecitato da altri parlamentari. «È un editore libero e liberale ed il fatto che qualcuno abbia fatto trasparire che il lavoro del giornalisti del Domani possa essere stato condizionato dalla scelta di De Benedetti è offensivo per lui, ma è un’infamia anche per noi». Su Striano ha precisato: «Non faceva parte della redazione e non aveva rapporti con altri giornalisti se non con quelli individuati».

In più, «ci sono errori nell’accusa, alcuni nomi, proveremo, è impossibile che siano stati chiesti da noi», ha detto rispondendo a una domanda del senatore della Lega Gianluca Cantalamessa, che aveva domandato se non ritenesse “anomalo” il ricorso «a un finanziere della dna per dossier o accessi su personaggi politici». Fittipaldi ha poi ricordato la vicenda di Crosetto: «Se abbiamo altri Striano? Può darsi, ma non sono persone che fanno accessi abusivi, abbiamo persone a cui quotidianamente i giornalisti di tutta Italia chiedono verifiche per vere informazioni. Ma non facciamo gossip. L'inchiesta sui soldi di Crosetto, ad esempio, è partita da me e non da Striano. Alcune fonti all’interno di Leonardo ci hanno chiamato per fornirci cifre sui suoi guadagni». Ricordiamo che Crosetto non querelò Domani per diffamazione perché le informazioni erano vere, ma presentò un esposto per chiedere alla procura di Roma di indagare sull’accesso a questi dati riservati. Indagando la procura risalì alla fonte dei giornalisti del quotidiano Domani – Striano – e agli strumenti utilizzati per accedere alle informazioni: accesso che sarebbe avvenuto senza i necessari presupposti investigativi o motivazioni tali da giustificare la ricerca di quelle informazioni.

Da qui un intervento sul ruolo delle fonti: «Mi colpisce - ha detto Fittipladi - che non si capisca che il rapporto tra la fonte e il giornalista è sacro. Il Parlamento europeo ha approvato un atto che specifica che le autorità politiche e giudiziarie devono proteggere le comunicazioni tra fonti e giornalisti. Altrimenti per i giornalisti diventerà difficile avere informazioni che possono nuocere qualche potere». Ha concluso: «Secondo Cantone sono state fatte richieste che per me sono verifiche di inchieste già partite. Con wetransfer i colleghi hanno ricevuto ordinanze vecchie di 4 o 5 anni, non documenti segreti. Per me chiedere informazioni non è reato, per Cantone potrebbe esserlo, vedremo», Dicendosi disposto ad andare «fino alla Cedu. Alcune sentenze Cedu dicono che anche se il giornalista sa (e noi non sapevamo) che quello che viene compiuto è un reato fa il suo lavoro» nel pubblicare la notizia.