La Procura di Venezia ha impugnato la sentenza con cui Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023. I magistrati chiedono il riconoscimento di due aggravanti escluse nel verdetto di primo grado: stalking e crudeltà.

La decisione arriva dopo che, nella sentenza del 3 dicembre 2023, la Corte d’Assise lagunare aveva riconosciuto la premeditazione, ma non la crudeltà né il comportamento persecutorio. Il pm Andrea Petrone, che aveva chiesto l’ergastolo aggravato, aveva sottolineato in aula il controllo ossessivo e la violenza dell’aggressione, culminata in 75 coltellate inflitte in due momenti distinti.

Il legale della famiglia Cecchettin, Stefano Tigani, ha accolto con favore la notizia: «Avevamo chiesto espressamente alla Procura di impugnare. Quelle aggravanti c’erano. Non eravamo visionari». Nelle motivazioni della sentenza, depositate l’8 aprile, la Corte (presidente Stefano Manduzio, estensore Francesca Zancan) aveva parlato di «inesperienza» e «inabilità» nel colpire, ritenendo che la furia dell’aggressione non fosse un segno di crudeltà, ma di incapacità di infliggere colpi «più efficaci».

La Corte aveva inoltre ritenuto che il comportamento di Turetta fosse «persecutorio», ma che l’aggravante dello stalking non potesse essere applicata perché riferita formalmente solo al periodo immediatamente successivo alla fine della relazione.

Eppure, emerge con forza dalle chat e dalle testimonianze raccolte un atteggiamento di possessività e controllo che ha segnato l’intero rapporto: Turetta pretendeva di gestire le relazioni sociali di Giulia, influenzare i suoi studi e limitarne la libertà. La decisione di ucciderla maturò in quattro giorni di preparazione, culminati in una feroce aggressione la sera dell’11 novembre.

Filippo Turetta è attualmente detenuto nel carcere di Montorio (Verona). Ora la parola passa alla Corte d’Appello, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta della Procura.