Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e l’ex sostituto - ora in forza alla Procura europea - Sergio Spadaro avrebbero saputo già un anno prima delle segnalazioni del collega Paolo Storari che Isaac Eke, testimone chiamato a confermare il racconto dell'ex dirigente Eni Vincenzo Armanna e principale teste del processo Eni- Nigeria, sarebbe stato «indottrinato attraverso l'invio di articoli di stampa» e pagato per confermare la versione dell’ex manager Eni. Che Eke nemmeno conosceva, dal momento che dalla sua cronologia web sono risultate numerose ricerche per assegnare un volto a quel nome. È quanto emerso ieri a Brescia nel processo contro i due magistrati, accusati di rifiuto d'atti d'ufficio per non aver depositato nel febbraio- marzo 2021 prove favorevoli alle difese nel processo sulla presunta - e smentita - maxi tangente per il giacimento petrolifero Opl245.

A rendere nota tale circostanza Pasquale Annichiarico e Gian Filippo Schiaffino, legali dell'ex viceconsole onorario in Nigeria Gianfranco Falcioni, parte civile al processo ed ex imputato a Milano nel processo Eni- Nigeria, che si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati. I legali hanno chiesto di depositare «un documento molto rilevante» relativo al teste “Victor”, che in aula avrebbe dovuto confermare il racconto di Armanna e inchiodare i vertici Eni. Ma in aula sono apparsi due diversi “Victor”, indicato come colui che avrebbe visto gli italiani in Nigeria imbarcare trolley pieni di denaro contante costituente parte del prezzo della corruzione “retrocesso” ai vertici Eni (50 milioni di euro).

La prima persona convocata in aula ha negato di aver mai conosciuto Armanna e di aver riferito alcunché sul tema. Qualche mese dopo, Armanna ha affermato di non aver riconosciuto, nel testimone sentito in aula, la persona con cui aveva parlato, affermando di aver saputo che il nome dell’informatore era, in realtà, Isaak Eke, che avrebbe poi annunciato, tramite lettera, la sua disponibilità a confermare in aula le parole dell’ex manager Eni. Ma anche questa testimonianza si è rivelata un buco nell’acqua: in aula l’uomo ha riferito di aver incontrato Armanna solo due volte e di non essersi mai presentato come Victor Nwafor, precisando inoltre che la lettera trasmessa il 19 novembre alla procura di Milano era stata scritta dall’amico comune Timi Aya, il quale gli aveva chiesto di firmarla rassicurandolo che la missiva sarebbe stata utilizzata in un luogo privato. Infine ha negato di aver mai conosciuto manager o rappresentanti di Eni o delle sue controllate.

Una serie di contraddizioni che avevano spinto il collegio a definire «imbarazzante» la sua audizione e la procura a disporre una perquisizione nell'albergo in cui alloggiava, dove sono stati sequestrati quattro cellulari. Di quei sequestri, però, la procura non rese noto nulla, ha osservato Annichiarico, che ha annunciato l’archiviazione, dopo tre anni, del fascicolo aperto a carico di Eke per falsa testimonianza. Ed è proprio tale archiviazione che la difesa, ora, vuole far valere nel processo: dagli atti emerge infatti che la Guardia di Finanza, il 3 febbraio 2020, consegnò la copia forense dei dispositivi sequestrati, dai quali era emerso «passaggio di denaro fra i testimoni, 50mila euro già indicati sul telefono di Eke e altri 19mila euro da Timothy (Timi Ayah, altro nigeriano che avrebbe riscontrato le sue affermazioni indicato da Armanna)». Dati a disposizione di De Pasquale e Spadaro ( difesi dall’avvocato Massimo Dinoia), dunque, ben prima delle mail con le quali Storari, titolare del fascicolo sul “falso complotto Eni”, segnalava ai colleghi le chat trovate nel telefono di Armanna, dalle quali sarebbe emerso come quest’ultimo avesse versato 50mila dollari a Eke per fargli rilasciare delle dichiarazioni accusatorie nei confronti di alcuni coimputati.

I due magistrati devono rispondere anche del mancato deposito di alcune note acquisite dalla procura di Milano da Vodafone che avrebbero dimostrato come le chat prodotte da Armanna ai pm e nelle quali avrebbe sostenuto di parlare con lo stesso Granata e con l'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, in realtà fossero avvenute su utenze telefoniche all'epoca dei fatti ( 2013) non in uso ai due super manager del Gruppo. Infine, ad inguaiarli anche un video del 28 luglio 2014 che testimonia la volontà di Armanna di ricattare i vertici della società, per gettare su di loro «valanghe di merda» e avviare una devastante campagna mediatica.

Due giorni dopo quell'incontro Armanna si presenta da De Pasquale accusando i vertici Eni. Il video venne trasmesso a De Pasquale il 12 aprile 2017 durante la fase di udienza preliminare del processo Eni- Nigeria, ma non fu mai condiviso con le difese.