Siluri. Le black list sono missili sparati ad altezza d’uomo. Quasi sempre in prossimità della scadenza elettorale quando, un po’ come gli ordigni che deflagrano in un mercato, possono fare più danni.

In tempi di guerre atroci la metafora è forte, ma quello che da circa dieci anni combina, impunemente, la commissione parlamentare Antimafia con le “liste degli impresentabili” è veramente una sfida alla Costituzione. L’ultimo caso riguarda Angelo Antonio D’Agostino, candidato di Forza Italia alle Europee: il 28 maggio la Bicamerale di Palazzo San Macuto lo aveva inserito nell’elenco degli impresentabili, diffuso a beneficio della stampa, insieme ad altri 6 nomi (provenienti da vari partiti). D’Agostino non è uno sconosciuto: già presidente dell’Associazione costruttori in Irpinia, da quattro anni è anche patron dell’Avellino calcio. Reperire informazioni sul suo conto non sarebbe stato così impegnativo. Ma la commissione Antimafia si è accontentata dell’errore proveniente dal registro dei carichi pendenti, in cui D’Agostino risulta a processo per corruzione, nonostante il reato sia prescritto e resti in piedi solo un altro capo d’imputazione, di falso, per il quale l’imprenditore ha chiesto espressamente di essere giudicato, convinto della propria innocenza. Risultato: per alcuni giorni un candidato mai raggiunto da condanne è stato additato agli elettori come poco raccomandabile. Dopo la durissima protesta dell’interessato e del suo legale Teodoro Reppucci, la Bicamerale si è corretta e, venerdì scorso, ha rettificato il siluro: non dovevamo spararlo, il processo a D’Agostino, in effetti, era andato in prescrizione, ma il problema è la «ristrettezza dei tempi». Peccato che intanto la deflagrazione s’era sentita, e aveva rimbombato per tre giorni.

Solo dopo l’increscioso caso di un organo costituzionale che diffama senza motivo un cittadino candidato alle Europee, gli azzurri hanno detto basta. «Siamo alla follia totale. Questo non è lo Stato che conosciamo noi. È tempo che questo codice di autoregolamentazione venga rivisto. Così si uccidono le persone», ha dichiarato, non senza motivo, il capogruppo FI all’Eurocamera Fulvio Martusciello. I due rappresentanti berlusconiani in Antimafia, Pietro Pittalis e Maurizio Gasparri, hanno avvertito che «dopo l’election day, il codice di autoregolamentazione in base al quale vengono definite le black list andrà riformato». In realtà già dopo l’elenco sfornato per le Regionali sarde, lo stesso Pittalis, che a Palazzo San Macuto è il capodelegazione azzurro, aveva notato: «Continuiamo a impallinare persone semplicemente rinviate a giudizio e, spesso, per reati che nulla hanno a che vedere con la materia di competenza della commissione, la criminalità organizzata».

Ma il bello è che questo folle abuso non avviene in virtù di una legge. La base giuridica che fa sentire Palazzo San Macuto in diritto di imporre uno stigma nei confronti di cittadini innocenti è una non meglio qualificabile “relazione”, approvata dalla stesa commissione Antimafia il 23 settembre 2014, quando a presiedere l’organismo c’era la dem Rosy Bindi. In questa relazione è inserito un disposto in 4 articoli in cui si legge un passaggio illuminante: “Il presente codice è soggetto ad adesione volontaria e la mancata osservanza delle disposizioni non dà luogo a sanzioni, semmai comporta una valutazione di carattere strettamente etico e politico nei confronti dei partiti”. Cioè: in barba alla presunzione d’innocenza, all’assenza di condanne definitive, la commissione Antimafia ritiene di poter “condannare moralmente” i partiti che si sognassero di attenersi all’articolo 27 della Costituzione, quello sulla ricordata presunzione d’innocenza. Tutto normale? Tutto normale.

E forse FI sbaglia a predisporre una riforma di questo “codice di autoregolamentazione”: l’iniziativa rischia di legittimare una procedura che andrebbe casomai abolita. Comunque, un po’ di sconcerto per l’abuso in cui Palazzo San Macuto si produce da una decina d’anni serpeggia anche in Fratelli d’Italia. E per fortuna, anche al di fuori della maggioranza c’è chi, come il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, ritiene di ricorrere a espressioni forti: «Non solo inventano la categoria degli impresentabili per persone che la legge considera candidabili, ma sputtanano urbi et orbi per giorni come impresentabile un candidato che tale non è neanche per il loro codice forcaiolo. Indecente». Ecco, sì: indecente. Ma all’ombra del dio giustizialista, succede di tutto.