La fine dell’emergenza, che doveva essere l'uscita da un tunnel molto sofferto, ha finito per essere solo l'ingresso in un tunnel la cui profondità è ancora ignota

Nelle intenzioni di Mario Draghi il Cdm di due giorni fa si sarebbe dovuto svolgere a metà dicembre. Sino all'ultimo palazzo Chigi aveva sperato di non dover prorogare lo stato d'emergenza e di poter dichiarare conclusa, a partire dal 31 dicembre 2021, l'emergenza Covid. Sarebbe stata una bella spinta per la sua candidatura al Quirinale e anche per la ripresa che in quel momento era comunque lanciatissima. Ci si è messa di mezzo la variante Omicron e almeno riguardo al Colle lo sgambetto è stato esiziale, forse fatale. Ci sono però ben altre ragioni che svuotano la declamata “vittoria sul Covid” dei significati previsti e preventivati. O meglio ce n'è una sola che incide però su molti fronti diversi: l'Ucraina. Lo stile di Mario Draghi è molto diverso da quello di Emmanuel Macron. Non è facile immaginare il premier italiano che pronuncia parole come quelle adoperate dal presidente francese, «guerra ad alta intensità in Europa». Dunque non si azzarderebbe mai, se non in condizioni estreme, a parlare come ha fatto il francese di possibile «emergenza alimentare», versione moderna dell'antico “carestia”. Ma già il solo fatto che abbia fatto trapelare la possibilità di imminenti razionamenti energetici dice tutto sulla gravità della situazione. Tanto più che anche sul fronte alimentare l'Italia non sta messa meglio della Francia.

Insomma, quella che doveva essere l'uscita da un tunnel molto sofferto sia dalla popolazione che dall'economia ha finito per essere solo l'ingresso in un tunnel la cui profondità è ancora ignota. Le misure che il governo ha varato ieri per fronteggiare la ciclopica emergenza apparsa all'improvviso nella notte come un micidiale iceberg sono una toppa, e non lo nascondono neppure al Mef. Lo sganciamento dalla dipendenza dal gas russo e dai prodotti russi o ucraini fondamentali per il comparto agro- alimentare richiederanno tempo, anche a dimostrarsi eccezionalmente veloci. Il morso della crisi sul potere d'acquisto degli italiani e sulla tenuta delle piccole e medie imprese invece arriverà all'osso molto presto, come ha fatto capire lo stesso Draghi al termine del vertice degli “Stati del sud” di ieri a Roma, da lui stesso convocato. Insomma, senza un sostegno europeo paragonabile a quello dispiegato per ammortizzare la mazzata Covid farcela, per tutti ma per i Paesi del sud più che per gli altri, sarà molto difficile.

Solo che, a differenza dell'emergenza Coronavirus, stavolta i Paesi europei non sono affatto tutti nella stessa barca. Alle prese con la stessa tempesta, questo sì, ma su imbarcazioni diverse. Inoltre la mazzata piovuta sull'Unione in seguito alla gestione tutta americana della crisi, ben poco attenta alle esigenze dell'Europa, lasciano l'Unione spiazzata e smarrita, come l'afasia di una von der Leyen ridotta a comprimaria se non addirittura a comparsa dimostra. In queste condizioni tutto potrebbe rivelarsi molto più difficile di quanto non sia stato due anni fa, con l'arrivo della pandemia.

Per l'Italia c'è di più. Proprio la campagna contro il Covid doveva sancire l'ingresso dell'Italia di Draghi nel gruppo di testa dell'Unione, con Francia e Germania. A guidarla c'era la figura forse più prestigiosa dell'Unione con Angela Merkel. Nel fronteggiare il Covid aveva dato una prova ottima, indicando spesso per prima la strada che gli altri Paesi avrebbero poi seguito. Le cifre della ripresa vedevano proprio l'Italia correre più di tutti gli altri. La crisi ucraina ha cambiato tutto. In parte perché il colpo è stato tale da dividere l'Unione molto più di quanto non la abbia unita, nonostante le roboanti affermazioni ufficiali. In parte la situazione del Paese più legato alla Russia di tutti si è rovesciata contro l'Italia come un tremendo boomerang. In parte gli Usa e parte della Ue hanno preso malissimo e forse peggio le esitazioni iniziali di un'Italia che vedeva messa a rischio la ripresa, ma su posizioni di partenza, quanto a debito, molto più gravi di quelle dei partner. Di fatto, l'Italia è stata sbalzata via di colpo da quella tolda di comando nella quale aveva appena messo piede. La guida dell'Europa è tornata a essere saldamente, e unicamente, franco- tedesca. In una fase nella quale la situazione dell'Italia è appunto diversa, e ancora più fragile, di quella dei due Paesi guida. Insomma, la fine dell'emergenza Covid, dopo oltre due anni, proprio non poteva neppure somigliare a quella festa collettiva che avrebbe potuto e dovuto essere.