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Una professoressa di storia e filosofia è stata assente per un totale 20 anni su 24 nell’istituto di scuola superiore di secondo grado in cui prestava servizio, situato a Chioggia, in Veneto. Secondo gli studenti, la docente sarebbe stata impreparata nell’illustrare i programmi didattici nei quattro mesi in cui si era presentata in classe, dando – a loro giudizio – dei voti non compatibili con il percorso personale di studi degli alunni. La Cassazione di recente ha destituito in via definitiva la docente per «inettitudine permanente e assoluta».
Secondo i giudici di legittimità, la libertà d’insegnamento deve essere «intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio. Non è dunque libertà fine a se stessa, ma il suo esercizio – si legge nella sentenza - attraverso l'autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti».
Sempre secondo la Suprema Corte di Cassazione, sarebbero state accertate «le gravi imprecisioni nel redigere i programmi finali delle classi quarte (ad esempio, programma e numero di ore diversi da quelli effettivamente dedicati alle spiegazioni, argomento su Hegel in realtà mai trattato in classe)». Un giudizio negativo che nel marzo del 2013 era stato espresso anche dagli ispettori ministeriali, secondo i quali si poteva evidenziare l’assenza «di criteri sostenibili nell'attribuire voti, la non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, l'improvvisazione, la lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall'alunno, l'assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, l'attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, la pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche».