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Carlo Nordio, ministro della Giustizia
Rischia di essere incostituzionale la scelta del governo di estendere il raggio delle intercettazioni per consentire l’utilizzo degli strumenti previsti per la lotta alla mafia anche in assenza della contestazione del reato associativo, scelta concepita dall’Esecutivo per “rimediare” a una sentenza della Cassazione che delimitava la “mafiosità” degli illeciti.
A certificare il “contrasto” con la Carta è una bozza tecnica predisposta dall’ufficio legislativo di Forza Italia, scheda ad uso interno che servirà come base per la presentazione di emendamenti al testo governativo. Un fatto che non sorprende, dati i malumori generati da quel provvedimento tra gli azzurri, tanto da spingere molti a chiedersi, all’indomani del via libera in Consiglio dei ministri, dove fosse finito il garantismo “millantato” dal guardasigilli Carlo Nordio.
Il cortocircuito, secondo il legislativo degli azzurri, è palese: il testo è stato infatti presentato come norma di interpretazione autentica, ma «per come formulato (...) non appare tale». Non solo perché «manca la premessa che introduce questo tipo di norme», ma anche per la disposizione transitoria che prevede l’applicabilità delle nuove disposizioni anche ai procedimenti già in corso. Un’aggiunta che ha senso solo se si tratta di una nuova disposizione e che, in quanto tale, varrebbe solo a far data dalla sua approvazione. La deroga pone dunque un problema di costituzionalità: se la norma ha carattere innovativo, allora «le intercettazioni illegittimamente disposte prima della modifica normativa non possono adesso essere considerate legittime e utilizzabili a fini di prova».
E l’intervento del governo «non può valere come una sanatoria per intercettazioni illegali nel momento in cui sono state disposte (a voler accedere alla tesi della Prima Sezione della Cassazione, che sembra confermata, indirettamente quanto paradossalmente, dal decreto-legge)», si osserva nella scheda. «Se la norma transitoria intende dire questo, è di più che dubbia legittimità costituzionale perché gli articoli 15 Cost. e 8 Cedu consentono limitazioni alla riservatezza nei limiti e con le garanzie stabilite dalla legge; una legge che, evidentemente, deve preesistere rispetto al momento in cui quelle limitazioni sono disposte».
La scheda sembra confermare la “scollatura” ideale di FI dal resto della maggioranza quando di mezzo ci sono le garanzie. Una distanza che sembrava confermata anche dai dubbi avanzati nelle scorse settimane da Fratelli d’Italia, incerta circa l’opportunità, in termini elettorali, di andare fino in fondo sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Ma a sorpresa ieri, nella commissione Giustizia del Senato, che ha ripreso l’esame del ddl penale dopo la pausa estiva, il meloniano Sergio Rastrelli non ha lasciato spazio a incertezze interpretative, sostenendo la necessità di abolire il reato, così come previsto dal testo di Nordio, per il quale sono partite le audizioni. «Nel corso del tempo - ha affermato - tutti gli interventi riformatori hanno cercato di ovviare all’impresa impossibile di dare tassatività e chiarezza alla norma», senza riuscirci.
Da qui la domanda rivolta al capo dell’Anac Giuseppe Busia, che in audizione ha sostenuto la necessità di tipizzare la norma per garantire maggiore tassatività e il pericolo, con la sua abolizione, di creare vuoti normativi e scostamenti dai vincoli internazionali. «Ma non ritiene che già tutta la casistica dei reati contro la Pa riesca a coprire tutto lo scenario - ha chiesto di rimando Rastrelli -, considerando l’aggravante comune che prevede un aggravio di pena ogni volta che si agisce con abuso di potere o in violazione dei doveri in capo al pubblico ufficiale? Inoltre c’è una serie di organismi, Anac compresa, creati col fine di anticipare il controllo dell’operato della Pa. Tutto questo sforzo non è tale da rispondere agli obblighi imposti dalla Convenzione Onu di Merida?».
Per Busia il pericolo però c’è: «Per il giustissimo obiettivo di offrire certezza normativa», ha sottolineato, si potrebbe ottenere l’effetto di «creare incertezze ulteriori», portando a una «riespansione di altri reati». Motivo per cui sarebbe preferibile prevedere, ad esempio, «che la mera violazione di principi generali o regole procedurali non costituisca abuso d’ufficio». Ma, soprattutto, «occorre che scriviamo dal lato amministrativo il limite entro cui si esercita la discrezionalità amministrativa». Concetti ribaditi anche dal presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, secondo cui «una volta eliminato l’abuso d’ufficio, il pm dovrà necessariamente verificare se questo tratto di condotta faccia riferimento a fattispecie più gravi. L’abolizione non gioverà a ridurre le indagini in un sistema in cui vige l’obbligatorietà dell’azione penale». In commissione è stato audito anche il segretario Ucpi Eriberto Rosso, critico sulla scelta di «non mettere mano alla disciplina delle intercettazioni, secondo un bilanciamento dei contrastanti interessi, peraltro di rilevanza costituzionale, in gioco».
La sfida sulla giustizia riparte oggi anche in commissione alla Camera, dove inizieranno le audizioni in tema di separazione delle carriere, con la presenza, tra gli altri, del presidente del Cnf Francesco Greco. Un tema che ha suscitato la reazione anche di Magistratura indipendente, la corrente ritenuta più vicina al governo: «Segnaleremo in tutte le sedi competenti il tentativo in atto di alterare l’equilibrio tra i poteri e di ledere l'indipendenza e l'autonomia della magistratura», si legge in una nota firmata dal presidente e dal segretario del gruppo, Stefano Buccini e Angelo Piraino.