«In questo periodo ho pensato spesso, per il rispetto che nutro verso l'istituzione, al fatto di dimettermi dalla carica di presidente dell'Assemblea capitolina, carica che ho amato e che ritengo di avere svolto con onore per un verso, con piena cognizione dei suoi equilibri e tecnicismi dall'altro. Ma non posso, non voglio e non debbo farlo!». Marcello De Vito, presidente grillino del consiglio comunale capitolino, arrestato il 20 marzo per corruzione sullo stadio della Roma, invia una lettera dal carcere alla sindaca Virginia Raggi, al vicepresidente vicario Enrico Stefàno e ai consiglieri comunali.

«Sono pronto per il giudizio. Non sono corrotto né corruttibile e confido nel pieno e positivo accertamento in tal senso da parte della magistratura», continua De Vito, amareggiato con il suo partito che lo ha abbandonato e puntando il dito verso chi l’ha espulso d’imperio dal M5S.

«Certamente in questo tempo mi sono chiesto cosa potrebbe decidere il nostro leader (Di Maio, ndr) per se stesso, ove fosse sottoposto ad un giudizio: sicuramente proporrebbe un quesito ad hoc, come quello ideato sul caso Salvini-Diciotti, da sottoporre al voto online. Così come ho ricordato che il nostro codice etico prevede l'espulsione dall'M5S solo in caso di condanna e non si presta ad opinabili interpretazioni a seconda dei casi o peggio, all'arbitrio del nostro leader».