Il ddl Nordio si è ufficialmente incardinato in Commissione Giustizia. E a fare da relatore è la presidente Giulia Bongiorno, responsabile giustizia della Lega e anche tra le più dubbiose in tema di abrogazione dell’abuso d’ufficio, la riforma voluta da Nordio che, però, rischia di non vedere mai la luce. A confermare tale possibilità al Dubbio, nei giorni scorsi, erano stati alcuni senatori di Fratelli d’Italia, convinti che tale riforma possa non piacere all’elettore tipo del partito della premier. Nel corso della seduta di ieri Bongiorno ha illustrato la riforma, per la quale le audizioni inizieranno a settembre. E la pausa estiva consentirà ai partiti di ragionare sul da farsi, dopo i dubbi espressi dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e i plurimi allarmi lanciati dalla magistratura, pronta a contrastare l’esecutivo in ogni modo. Quel che è certo è che Giorgia Meloni non ha intenzione di inimicarsi le toghe, tanto da reagire alle critiche con un decreto per circoscrivere i reati di criminalità organizzata, annunciato simbolicamente a Palermo nel giorno dell’anniversario della strage di via d’Amelio. Ma c’è un altro fronte aperto con la magistratura, sul quale il governo sembra procedere con meno timore, nonostante il tema appaia tra i più delicati per i magistrati: la separazione delle carriere, riforma rilanciata, recentemente, dal sottosegretario Andrea Delmastro, che pubblicamente ne ha rivendicato l’utilità nell’ottica di una piena attuazione della Costituzione e del giusto processo. Una riforma complicata, che prevede un iter lunghissimo, essendo necessaria una revisione costituzionale e la creazione di due Consigli superiori della magistratura, ma che non sembra spaventare il partito della premier, forse proprio perché richiede tempi tanto lunghi da metterne in dubbio la realizzazione. Tant’è che FdI non ha depositato alcuna proposta in merito, lasciando l’iniziativa parlamentare alle altre forze di maggioranza, nonché al Terzo Polo, pronto ad appoggiare il governo sui temi della giustizia. Un “rinforzo” concretizzatosi anche con il trasferimento di Matteo Renzi in Commissione Giustizia al Senato.

A ribadire le intenzioni del governo, ieri, è stato anche il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, che a il Sussidiario.net ha confermato l’intenzione di portare a casa la riforma che divide i giudici dai pubblici ministeri. «Si farà - ha dichiarato -. È nel programma di governo, noi siamo stati eletti dai cittadini sulla base della condivisione di quel programma e abbiamo conseguentemente l'obbligo di portarlo a termine. Occorre rimettere il giudice al vertice del triangolo previsto in Costituzione, un triangolo alla cui base ci sono accusa e difesa “in condizioni di parità”. L'imparzialità - ha aggiunto - appartiene alla storia individuale, alla dimensione soggettiva di ciascuno, ma la terzietà è un fatto di equidistanza ordinamentale».

La riforma era stata rilanciata a febbraio nel corso di una conferenza stampa alla Camera, dove il responsabile Giustizia di Azione, Enrico Costa, aveva messo sul piatto la proposta dell’Unione delle Camere penali italiane, affiancato da Italia Viva e, soprattutto, dagli esponenti di Lega e Forza Italia. Il progetto prevede due Csm separati, effettiva terzietà del giudice rispetto ad accusa e difesa ed obbligo di azione penale solo nei casi previsti dalla legge, riforma da realizzare, secondo il cronoprogramma dei presenti, entro il 2025. Ma a quella conferenza stampa spiccò l’assenza del principale partito di governo, che pure nel suo programma aveva inserito la separazione delle carriere tra le priorità della giustizia. A confermare gli intenti di Fratelli d’Italia, poche ore dopo, era stato Ciro Maschio, presidente della Commissione Giustizia alla Camera. «Ci confronteremo e sosterremo le proposte integrandole con le nostre - aveva chiarito al Dubbio -. Va bene ogni iniziativa che va verso la separazione delle carriere, tema che è nel nostro programma di Governo. Fdi non ha ancora presentato una proposta “copia e incolla” identica alle altre su separazione carriere perché stiamo lavorando anche ad una pdl che possa modificare le parti della procedura penale che dovranno adeguarsi alla riforma costituzionale. Ovvio che le due proposte potrebbero avere iter paralleli, ma necessariamente andrebbero coordinate, anche perché la prima per essere applicata concretamente necessita della seconda».

La proposta era naufragata nel corso della precedente legislatura, quando per evitare un emendamento soppressivo il ddl tornò in Commissione e si spense con la fine anticipata del governo Draghi. Ma ora i numeri starebbero dalla parte di chi sostiene la riforma. I ddl sono già stati calendarizzati in Commissione Affari costituzionali, dove il presidente Pagano si è autonominato relatore e ha confermato, nei giorni scorsi, di voler portare avanti l’iter. Una velocizzazione dovuta alla presenza di quattro proposte della stessa portata da quattro gruppi differenti (solo Forza Italia ha evitato di inserire nella proposta il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale per evitare di appesantire l’iter), sintomo di una «evidente convergenza» su un tema «popolare» che la politica non può ignorare. Proprio per tale motivo ha scelto di seguire personalmente il fascicolo.