Le dichiarazioni rilasciate da Pier Camillo Davigo al Fatto Quotidiano circa il procedimento disciplinare che vede coinvolto Henry Jonh Woodcock rischiano di creare più di un imbarazzo al Consiglio superiore della magistratura. Il prossimo 18 febbraio è attesa a Palazzo dei Marescialli la sentenza sul pm napoletano, accusato di aver violato i diritti di difesa dell'ex consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni. Costui venne ascoltato nel dicembre del 2016 nell'ambito dell'inchiesta Consip come testimone e non come indagato, dunque senza l'assistenza di un avvocato. Inoltre, sempre Woodcock, avrebbe esercitato pressioni nei suoi confronti, come quella di mostrargli dalla finestra della Procura il carcere di Poggioreale, chiedendogli «se vi volesse fare una vacanza» e facendogli vedere dei fili, spacciati per delle microspie. Ma, soprattutto, con la collega Celestina Carrano avrebbe lasciato mano libera agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria ( tra i quali c'era anche il maggiore dei carabinieri del Noe Giampaolo Scafarto), permettendo a tutti loro di «svolgere in maniera confusa e contemporaneamente, una molteplicità di domande», invitando quindi Vannoni a «confessare».

L’indagine Consip, con i suoi indagati eccellenti, in particolare Tiziano Renzi, padre dell’ex premier Matteo, accusato di traffico di influenze, monopolizzò per mesi le prime pagine dei giornali, scatenando la polemica politica. Intervistato la scorsa estate da Marco Travaglio, l’ex pm di Mani pulite affermò di essere rimasto esterrefatto dell’atteggiamento del Csm che «non dice nulla contro gli attacchi del governo a un pm colpevole di fare indagini ad alti livelli e anzi lo processa disciplinarmente prima ancora che vengano processati gli imputati. Sono esterrefatto».

Davigo era stato appena eletto al Csm con un plebiscito di voti. Per lui uno dei due posti destinati a piazza Indipendenza ai giudici di legittimità. Essendo nella composizione della Sezione disciplinare del Csm previsto un membro eletto fra i giudici di merito, la presenza di Davigo come titolare o come supplente era scontata. E infatti fu eletto come titolare. I giudizi di valore espressi da Davigo su questo procedimento disciplinare rischiano ad una settimana dalla sentenza di gettare un’ombra su quello che sarà il giudizio finale su Woodcock. Sia nel caso di condanna, il pg della Cassazione ne ha chiesto la censura, che di assoluzione. La Procura di Roma, a cui venne trasmesso per competenza territoriale il fascicolo Consip in cui era indagato Tiziano Renzi, lo scorso ottobre ha chiuso le indagini chiedendone l'archiviazione. I carabinieri del Noe, come si ricorderà, volevano invece arrestarlo e cercarono elementi affinché Woodcock chiedesse nei suoi confronti la custodia cautelare al gip. Il processo disciplinare ha le stesse regole del processo penale. L’obbligo di astensione del giudice scatta se «esistono gravi ragioni di convenienza». E' una norma di carattere generico. La Corte costituzionale con una sentenza del 2000 ha precisato che le ragioni di convenienza debbano «essere valutate caso per caso». L’ultima parola su questa vicenda toccherà quindi solo a Davigo.

Il vice presidente del Csm David Ermini, a cui sarebbe spettato presiedere il collegio, ha risolto un “problema” analogo subito dopo essersi insediato, optando per l’astensione. Da ex parlamentare del Pd e responsabile Giustizia, nella scorsa legislatura attaccò duramente gli inquirenti di Consip. «Prima si prende di mira Renzi e poi si lavora sulle indagini? Ci sono mandanti?», furono le sue parole.