«Per fortuna è finita». I sorrisi al termine della cerimonia di commiato dei membri uscenti del Csm non sono solo di circostanza. Perché per i consiglieri che hanno ufficialmente detto addio a Palazzo dei Marescialli, dal quale sono stati “sfrattati” in fretta e furia per garantire la presenza dei nuovi all’inaugurazione dell’anno giudiziario di domani, la giornata di ieri ha rappresentato la fine di un «incubo». E l’addio ad un’esperienza caratterizzata da scandali, crisi e intoppi che hanno minato fortemente la fiducia dei cittadini nella giustizia.

Indipendenza, autonomia e trasparenza sono le parole d’ordine usate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso del saluto rivolto ai reduci di un Csm minato dall’affaire Palamara, i “sopravvissuti” agli scandali che hanno tentato di ricostruire la credibilità delle toghe. Il messaggio del Capo dello Stato arriva in un momento di tensione sui temi della giustizia tra politica e magistratura e che vede le due parti, ancora una volta, sui lati opposti della barricata.

Mattarella parte dall’affermazione del compito assegnato dalla Carta al Csm, volto ad «assicurare l’indipendenza della magistratura, pilastro della nostra democrazia e sancita dalla Costituzione». Un modo per chiedere a tutti responsabilità: da una parte a chi, con le riforme, può incidere sull’assetto costituzionale e dall’altro a chi, con i propri comportamenti, ha il compito di tenere fede al giuramento fatto.

Una fedeltà spesso venuta meno, negli anni passati, anni in cui l’onere di tenere in piedi il Csm è toccato a David Ermini, trovatosi nella tempesta appena un anno dopo la sua elezione a vicepresidente. Ed è a lui che si rivolge, in particolare, Mattarella, ringraziandolo «per avere responsabilmente assolto il ruolo assegnatogli» nel corso di consiliatura «complessa, segnata da gravi episodi», da tre elezioni suppletive e tensioni che sono andate ben oltre lo scandalo dell’Hotel Champagne, fino ai veleni del caso Amara, che ha gettato ombre - in parte dissipate - sul Consiglio.

«Malgrado questo, grazie al contributo dei suoi componenti - ha sottolineato Mattarella -, il Consiglio superiore ha cercato di superare le profonde tensioni prodotte da quelle vicende, per assicurare il corretto funzionamento degli uffici giudiziari». L’invito ai nuovi consiglieri è quello di agire nella trasparenza e nell’efficienza, per garantire «nel modo migliore, l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione» e assicurare agli uffici giudiziari «il miglior livello di professionalità dei magistrati», «nel quadro di corretti rapporti istituzionali».

La magistratura, ha concluso, «ha nei valori costituzionali, nel suo ambito e nella sua storia, le risorse per affrontare le difficoltà e per assicurare - con autorevolezza e con credibilità - il rispetto della legalità indispensabile per la vita e la crescita civile della società e del nostro Paese nel suo complesso».

L’appello di Ermini ai nuovi consiglieri è quello di proseguire la «stagione costituente» avviata con le riforme e di «restituire piena credibilità all’organo di governo autonomo della magistratura». Un compito difficile, che richiederà «sobrietà» e «autorevolezza», come già tentato di fare in anni complicati e «drammatici», durante i quali il Csm ha rischiato di essere travolto «da pratiche e accordi di potere scandalosi», «degenerazioni e miserie etiche, in realtà risalenti nel tempo».

Ermini non nasconde l’amarezza «per attacchi spesso gratuiti» e per le campagne mediatiche, «anche violente e pretestuose» per sollecitare lo scioglimento anticipato del Csm, impedito da Mattarella proprio per consentire di portare a casa una riforma che mettesse fine alle degenerazioni. Ciononostante, sottolinea, «l’istituzione ha retto», garantendo «la tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura». Che non è «un potere malato» o «politicizzato», bensì un mondo di persone in trincea, anche in situazioni ambientali penose. Ma fare ammenda è inevitabile per rinsaldare il rapporto di fiducia con i cittadini, «all’esito di una riflessione critica sulla responsabilità sociale del ruolo e della dignità della funzione di giustizia, che è funzione da declinare non come potere ma piuttosto come servizio, proteso ad assicurare la garanzia dei diritti».

Credibilità, prestigio e autorevolezza dell’ordine giudiziario richiedono però, quale precondizione politica, «l’abbandono di prove muscolari e la distensione dei rapporti tra poteri preservando e rispettando l’attuale assetto costituzionale della magistratura e, in particolare, le funzioni degli organi di garanzia come il Consiglio superiore». Nonché una riflessione «sulle degenerazioni del correntismo e sui danni di un carrierismo fine a sé stesso», autocritica già avviata dall’Anm, afferma Ermini, ma non, «con analoga intensità, da altre categorie professionali che negli anni hanno conosciuto analoghe cadute».

L’autonomia, le funzioni e il ruolo del Csm «vanno dunque preservati», ricordando che l’indipendenza «non è un principio astratto o il bizzarro privilegio accordato al singolo magistrato, ma è piuttosto la prerogativa che la Costituzione attribuisce all’ordine giudiziario quale garanzia che la funzione giurisdizionale venga svolta dal magistrato in modo imparziale e da una posizione di autonomia e terzietà, presupposti necessari per l’attuazione del principio di uguaglianza e di giustizia sociale, che è il fondamento della libertà e della dignità dell’uomo».