Le chat di Palamara bruciano ancora, provocando una nuova spaccatura interna al Csm. Questa volta a tenere banco è l’autorizzazione al collocamento fuori ruolo di Rosa Patrizia Sinisi, attuale presidente della Corte d’appello di Potenza, chiamata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio a ricoprire l’incarico di vice capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del ministero della Giustizia. Delibera che è passata nel plenum con 14 voti favorevoli, nove contrari e sette astenuti, con uno sbilanciamento, dunque, verso il no all’autorizzazione, anche se non pienamente pronunciato.

E attorno alla pratica si è aperto un acceso dibattito, riguardante l’opportunità di “premiare” Sinisi - che si troverà ad occupare un posto dove si svolgono, tra le altre cose, attività preparatorie e preliminari relative all'esercizio dell'azione disciplinare - alle luce delle conversazioni intrattenute con l’ex capo dell’Anm Luca Palamara. Il tutto mentre si è in attesa - da oltre due anni - di affrontare la pratica relativa alla sua conferma nel ruolo di presidente di Corte d’Appello. Si tratta di chat compromettenti, in merito alle quali, però, l’allora procuratore generale Giovanni Salvi non ha mai avviato l’azione disciplinare, “complice” la circolare da lui emanata con la quale, in buona sostanza, si assolvevano tutti coloro che raccomandavano qualcuno (e soprattutto se stessi) per occupare la poltrona di un ufficio direttivo o semidirettivo.

Sinisi, stando agli atti inviati all’epoca dalla procura di Perugia al Csm, si rivolgeva all’allora ras delle nomine per promuovere la nomina di magistrati a lei vicini per i vertici degli uffici giudiziari pugliesi, «rivendicando addirittura in un caso “l’appartenenza” del posto al gruppo di Unicost». E ciò pur senza avere alcun ruolo all’interno del Csm. Proprio per tali fatti, nonostante l’insussistenza dei motivi per disporre un trasferimento - dal momento che il suo “intervento” non riguardava il distretto di Potenza -, il plenum aveva evidenziato «che l’imparzialità della dottoressa Sinisi appare appannata» e che anche se «l'intervento disciplinare non è più possibile», si può «tenere conto in altre sedi delle condotte emerse».

Ed è proprio a questi argomenti che si sono richiamati i consiglieri che hanno tentato di bloccare la pratica, già “boicottata” in Terza Commissione, dove a dare parere favorevole erano stati solo i laici Felice Giuffrè (FdI) ed Enrico Aimi (FI), con l’astensione dei togati Domenica Miele (Md), Paola D’Ovidio (MI), Genantonio Chiarelli (Area) e Antonino Laganà (Unicost). Tentativo che non ha bloccato però la delibera, approvata grazie alle astensioni di Unicost, stessa corrente a cui appartenevano Sinisi e Palamara. A votare contro cinque togati di Area e due di Md, l’indipendente Andrea Mirenda e i laici Roberto Romboli (in quota Pd) e Michele Papa (in quota M5S). Favorevoli, invece, tutti i laici del centrodestra, il renziano Ernesto Carbone e i togati di Magistratura indipendente, compresa la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano.

A spiegar l’inopportunità del via libera a Sinisi era stato, in prima battuta, Chiarelli, che aveva evidenziato «elementi di opacità» nella storia della collega e la necessità di valutare anche le possibili ricadute sull’ordine giudiziario in termini di appannamento dell’immagine di autonomia e imparzialità. E ciò in virtù dell’obbligo di valutare, durante l’iter in Terza Commissione, «tutto il fascicolo» della toga interessata, per verificare la sussistenza di elementi capaci di pregiudicare il prestigio della magistratura. Tali elementi, però, in quella delibera non ci sono mai nemmeno finiti: non un accenno, infatti, è stato fatto alla vicenda Palamara, né al procedimento per incompatibilità ambientale, sebbene favorevole a Sinisi. Ma proprio da quel procedimento, ha evidenziato Chiarelli, ha fatto emergere le «interferenze con le competenze consiliari». «Questo Consiglio - ha evidenziato il togato - ha il dovere di offrire al ministro un quadro completo per valutare» la vicenda. Ma nulla da fare.

Ad affondare il colpo è stato poi Mirenda, che ha parlato di «imbarazzanti conversazioni» tra Palamara e Sinisi, il cui rapporto aveva reso quest’ultima un «punto di riferimento» per i magistrati che aspiravano a ruoli di vertice. Tant’è che Sinisi prospettava a Palamara le «ricadute delle nomine» in termini di consenso per Unicost. Elementi idonei a prospettare, secondo Mirenda, potenziali compromissioni dell’indipendenza della magistrata, mentre rimane aperta la partita per la sua riconferma. «Come mai non è stata esercitata anche l’azione disciplinare?», si è chiesto il togato indipendente, che ha poi citato le Sezioni Unite della Cassazione (22302/21) in merito ai comportamenti scorretti dei magistrati, sentenza pronunciata, tra gli altri, proprio dalla presidente Cassano. In tale decisione, ha evidenziato Mirenda, gli ermellini definiscono «condotta gravemente scorretta quella di violare il dovere di astensione da qualsiasi intervento o interlocuzione, che non siano quelli previsti dalla legge, nell’ambito delle procedure di assegnazione di incarichi direttivi o semidirettivi». Da qui la riflessione rivolta ai colleghi: «Dobbiamo interrogarci se questa autorizzazione contribuisca al prestigio della magistratura».

A giustificare la scelta di autorizzare Sinisi è stato Giuffrè. «In coscienza - ha sottolineato parlando per sé e per il collega Aimi - abbiamo ritenuto che la richiesta andasse autorizzata», in primo luogo sulla base di una recente sentenza del Consiglio di Stato, secondo la quale «la partecipazione del magistrato alle chat di Palamara non può essere considerata un elemento preponderante in presenza di altri indicatori tutti largamente positivi». Inoltre, «da giuristi, dobbiamo tenere cari alcuni principi di garanzia: non possiamo considerare inidonea una candidata sulla base di considerazioni motivazionali quando poi la Commissione e il plenum hanno deciso per l’archiviazione. Perché se dovessimo prendere in considerazione qualsiasi spunto proveniente dalle chat - ha concluso -, allora dovremmo considerare anche tutti i magistrati che sono stati citati, non solo quelli che hanno partecipato. Non possiamo deflettere dai principi della certezza del diritto e delle garanzie, non possiamo usare due pesi e due misure. Questa è la ragione per cui, in maniera molto sofferta, siamo giunti a questa decisione».