Qualche giorno prima della strage di Capaci, Giovanni Falcone rilasciò un'intervista al quotidiano L'Unità. Alla domanda del perché lui avesse rinnegato l'esistenza del cosiddetto terzo livello, il giudice rispose così: «La questione del terzo livello è una singolare e strumentale cattiva interpretazione di quello che io ho detto nel passato». Falcone proseguì quasi scocciato delle continue mistificazioni: «Il terzo livello non solo non esiste, ma non è stato mai da me ipotizzato». Alla fine concluse: «La realtà è molto più grave, molto più complessa. È peggiore: negare l'esistenza del terzo livello significa infatti affermare che comanda Cosa Nostra e non gli uomini politici».

In realtà, Falcone, in sedi istituzionali, aveva più volte specificato questo suo pensiero. Lo scrisse, assieme a Marcelle Padovani, anche nel suo ultimo libro "Cose di Cosa Nostra". Eppure, a distanza di 32 anni dalla sua morte, non è bastato. Ancora oggi, dipingono un Falcone diverso, annullando così la sua grandezza. Tante, troppe bufale che vengono perpetuate anche in prima serata, se pensiamo alle "inchieste" di Report e non solo.

La prima manipolazione del pensiero di Falcone è relativa al fallito attentato dell’Addaura. Ci si riferisce storicamente al progetto di agguato contro il giudice, avvenuto il 21 giugno 1989 nei pressi della villa al mare che il magistrato aveva affittato per l'estate nella località palermitana dell'Addaura. Così come il terzo livello (Falcone chiarì che coniò quel termine riferendosi alla mafia, in particolare gli omicidi eccellenti, e non poteri superiori), ancora oggi viene strumentalizzata la sua intervista a Saverio Lodato in cui affermò: «Ci troviamo di fronte a mentì raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi». Ma quello che non viene mai menzionato, è che aggiunse: «Si tratta anche di riciclaggio». Ma quindi Falcone smentisce sé stesso? Lui che fino al giorno della sua morte aveva combattuto le letture dietrologiche sul fenomeno mafioso? Assolutamente no.

In realtà non è stato un caso quell’aggiunta sul riciclaggio. Un'ulteriore conferma si trova in un'altra intervista che Falcone rilasciò questa volta al giornalista Francesco La Licata. Si lasciò sfuggire altre confidenze coerenti con l’idea che la sua presenza (unico magistrato italiano) all’incontro con l’allora presidente degli Stati Uniti Bush fosse stata percepita come un pericolo per gli interessi di poteri criminali di altissimo livello, ai quali era riconducibile l’attentato dell’Addaura. Esaminiamo i fatti. Il giorno del fallito attentato, Falcone attendeva l'arrivo dei colleghi svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann per discutere alcuni aspetti dell'inchiesta Pizza Connection. Parliamo del riciclaggio del denaro sporco proveniente dal traffico di droga. L’altra forza di altissimo livello coinvolta è Cosa nostra Americana. Tutto questo lo spiegherà molto bene il pentito Giuffrè sentito al processo Borsellino Quater. Dirà che la mafia americana- in particolare i Gambino - ha fatto molte pressioni a Totò Riina per l’eliminazione dei magistrati, in particolare Falcone. E infatti Pizza Connection andava a colpire gli affari anche di cosa nostra americana. In quel preciso momento storico, la dimensione economica del riciclaggio internazionale dei proventi del narcotraffico era stata stimata dall’Onu in circa 300 miliardi di dollari. Chiaro che gli interessi mafiosi si intrecciavano con quelli di alcuni politici, amministratori, esponenti di forze dell'ordine infedeli e banchieri collusi. Parliamo di una banalità. La stessa situazione che si verificherà, qualche anno dopo attraverso l’inchiesta portata avanti dai Ros, nella grande questione degli appalti pubblici.

Ma Falcone pensava che dietro il tentativo di attentato ci fossero i servizi segreti deviati? Assolutamente no. Basterebbe leggere il verbale di assunzione di informazioni del 4 dicembre 1990. Innanzi all’allora procuratore nisseno Salvatore Celesti, il giudice Falcone risponde alle domande relative al fallito attentato dell’Addaura. Alla domanda sul perché ritenga che sia stata la mafia, Falcone risponde: «Affermo ciò per tutta una serie di considerazioni che comunque si riassumono nel fatto che ove l’attentato avesse avuto una matrice diversa, in un modo o nell’altro, l’organizzazione mafiosa mi avrebbe fatto sapere di essere estranea».

L’altra bufala, che purtroppo va avanti con il de relato, è quella relativa ai due poliziotti uccisi e che Falcone li ritenesse collegati all’Addaura. No, non è vero. Ecco cosa risponde Falcone, sempre innanzi al procuratore Celesti: «Per completezza, faccio presente che in atto a Palermo il mio ufficio sta compiendo indagini circa l’uccisione dell’agente Agostino avvenuto nel settembre 89 e circa la scomparsa, avvenuta dopo diversi mesi, di tale Piazza Emanuele, già agente della Polizia di Stato e in qualche modo successivamente in contatto col SISDE. Dalle indagini non è emerso nulla di particolare che possa far ritenere questi due fatti delittuosi collegati con il mio attentato, ma devo registrare che, specie a livello di stampa, è ricorrente l’ipotesi che i due fossero in qualche modo collegati col mio attentato. Le indagini in questione, tuttora condotte con impegno e scrupolo, non hanno dato tuttavia alcun concreto riscontro a questi sospetti».

L’altra narrazione è quella di dire che Falcone pensava che dietro la mafia, in particolare i delitti eccellenti, ci fosse la Gladio e la P2. Falso. Il giudice ha vagliato l’ipotesi, sentito vari personaggi, tra i quali lo stesso Gelli, si è recato personalmente alla sede del Sismi, lesse ogni tipo di documento, reperì anche la lista completa degli aderenti all’organizzazione. Poco prima di lasciare la Procura, il 9 marzo del 1991, sottoscrisse la requisitoria dei delitti eccellenti, ed escluse il ruolo della P2 e soprattutto della Gladio. Tutto ciò verrà poi riconfermato dall’ordinanza sentenza di rinvio a giudizio del 9 giugno del 1991 redatta dall’allora magistrato Gioacchino Natoli. Era pragmatico Falcone e condusse inchieste devastanti contro la mafia. Divenne ancora più pericoloso quando esternò la sua preoccupazione sulla gestione mafiosa degli appalti pubblici, dove erano coinvolte imprese multinazionali. Dirà Angelo Siino che il mafioso Nino Buscemi (in affari con l’impresa nazionale Ferruzzi – Gardini) si innervosì e disse: «Questo ci vuole consumare tutti». Se fosse diventato capo della procura nazionale, avrebbe avuto il potere di avocare le indagini, soprattutto nei confronti di quelle procure che non concludevano nulla. Andava eliminato al più presto. E così è stato.