Area e Md puntano il dito contro il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli. Al centro della polemica la nomina di Caterina Chiaravalloti alla presidenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria, che ha battuto Olga Tarzia grazie al voto del numero due di Palazzo Bachelet, che vale doppio rispetto a quello degli altri consiglieri. Il risultato finale era infatti di 15 a 14 a favore di Tarzia, ma è stato ribaltato dal voto di Pinelli, che ha cambiato le carte in tavola, per la terza volta in una sola consiliatura. Il voto è, infatti, prerogativa del vicepresidente, che per cortesia istituzionale è però solito astenersi.

Per questo l’esser risultato decisivo in tre diverse occasioni - oltre al caso di Reggio Calabria mercoledì è accaduto anche per le nomine del procuratore di Firenze e della presidenza della Corte d’Appello di Catanzaro - ha assunto, agli occhi dei consiglieri di orientamento progressista, un significato politico.

Ma andiamo con ordine. Le polemiche sono, in realtà, due. Da un lato c’è Md, che contesta a Pinelli di esser venuto meno al «suo essenziale ruolo di garanzia, incidendo in modo decisivo sugli esiti delle nomine, con preferenze che si allineano sempre a quelle dei consiglieri laici espressi dalla maggioranza parlamentare».

Dopo lo scandalo dell’Hotel Champagne e del mercato delle nomine, osserva l’esecutivo di Md, «la magistratura deve rivendicare con fermezza un esercizio della discrezionalità consiliare basato su regole chiare e trasparenti, riscontrate dalla motivazione, non orientato dalle maggioranze e dalle appartenenze, o dalle interferenze politiche». Il tema sarà oggetto di dibattito al congresso dell’Anm, ma il paradosso, secondo Md, è che mentre qualcuno tenta di criminalizzare le opinioni dei magistrati, bollandole come ideologiche, a creare rischi di interferenze politiche sia «una figura che dovrebbe essere di garanzia». Da qui l’auspicio del «recupero del ruolo di garanzia del vicepresidente del Csm, insieme al giusto rispetto per i magistrati che svolgono il loro servizio in territori come quello calabrese, che in prima linea, con i loro sacrifici e la loro determinazione, si pongono a presidio della legalità, un presidio che a volte dura una vita intera e che rappresenta, questo sì, una garanzia, non un rischio di condizionamento». Già, perché la seconda parte della polemica riguarda le parole usate da Pinelli per esprimere il proprio voto.

Perché parlando di Tarzia, che da sempre lavora in Calabria, il vicepresidente ha espresso un concetto a molti apparso inappropriato. «Il radicamento sul territorio per moltissimi anni, soprattutto nei territori caratterizzati da profili di sensibilità di criminalità organizzata, ha sicuramente un lato positivo ma anche un lato negativo ha dichiarato Pinelli -, che riguarda le potenziali interferenze nell’esercizio delle funzioni, che sono frutto di convivenze sociali non certo di volontaria cessione a forme di indebita collusione. È la diversità delle esperienze che fa costruire in modo corretto la capacità di svolgere funzioni direttive e non la persistente attività professionale prestata presso lo stesso distretto».

Parole che hanno fatto saltare sulla sedia i consiglieri di Area. «Il vicepresidente del Csm ha espresso il proprio voto, ancora una volta decisivo, per Caterina Chiaravalloti, preferendola a Olga Tarzia, che lavora e ha sempre lavorato in quel distretto. Tra gli argomenti spesi nella sua dichiarazione di voto, ha sottolineato i rischi di interferenze nell’esercizio delle funzioni che possono derivare dal radicamento in territori di criminalità organizzata si legge in una nota -. Lavorare in terra di mafia non può esporre a un tale generico, quanto ingeneroso pregiudizio. Siamo anzi convinti che i sacrifici personali e professionali dei colleghi che operano in quelle realtà meritino la massima riconoscenza di tutti».