Ebbene, il diritto di copia è ormai una barzelletta, come spiega la pronuncia di legittimità citata all’inizio: perché in quel caso, e dunque in circostanze anche meno eclatanti, la Suprema corte ha ritenuto che l’assurdo costo dei supporti informatici necessari all’indagato per riversarvi tutti i file audio- video delle intercettazioni, anche ambientali, effettuate nel corso dell’inchiesta, pari a qualcosa come 59mila euro, non pregiudicasse l’effettivo esercizio del diritto di difesa, nonostante, come pure si legge nella sentenza della Cassazione, la persona accusata non fosse in grado di «sostenere economicamente le spese per ottenere le copie dei supporti magnetici».

È incredibile. Ma è così. O sei straricco, o tu, imputato, per fare copia degli atti in base ai quali ti accusano di reati anche gravi, devi mettere in conto di venderti la casa, se ce l’hai. Di fatto piazza Cavour questo ha detto. È anche per rimediare a un quadro di evidente violazione dei principi sanciti all’articolo 111 della Carta costituzionale, per non parlare della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, che il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa ha presentato due giorni fa un emendamento alla legge di Bilancio finalizzato a rendere gratuite le copie degli atti contenuti nel fascicolo del pm «per gli indagati» e ovviamente anche per «le persone offese che ne facciano richiesta».

Con una clausola, che assicura un più che ragionevole equilibrio fra i contrapposti interessi del singolo cittadino e dello Stato, che potrà recuperare quei soldi, spiega il parlamentare calendiano in una nota, «in caso di condanna definitiva». Costa osserva, giustamente che «è del tutto anomalo, e in contrasto con i tanto declamati principi costituzionali di presunzione d’innocenza e di diritto di difesa, che chi è chiamato a rispondere in un procedimento penale debba pagare per conoscere gli atti su cui poggia l’accusa nei suoi confronti».

Interpellato dal Dubbio, il deputato di Azione aggiunge: «Un conto è prevedere costi anche elevati a carico di chi decide di intraprendere un’azione civile, sebbene anche in un caso simile la dimensione abnorme della spesa da sostenere configurerebbe un sostanziale divieto di accesso alla tutela dei propri interessi legittimi, sancito dall’articolo 24 della Carta. Il punto è che nel penale la questione è, se possibile, ancora più delicata e grave: qui non c’è una volontaria iniziativa della parte, ma una condizione passiva del cittadino che, presunto innocente, vede agire l’autorità giudiziaria nei propri confronti. Com’è possibile che io Stato ti metto sotto inchiesta e tu, cittadino, hai diritto a difenderti con tutti i mezzi previsti dalla legge solo se sei molto ricco, solo se sei in grado di spendere anche decine di migliaia di euro?».

Ma perché nel processo penale l’acquisizione dei file è arrivata a costi così fuori dalla portata delle persone comuni? «Il nodo è la quantità di dati che in alcuni casi confluiscono nell’indagine: ognuno dei dischetti necessari per copiare i file depositati dalla Procura costa 350 euro. È chiaro che in procedimenti in cui ci sono tante ore di intercettazioni si schizza rapidamente nell’ordine delle migliaia di euro, come nel caso decisamente sottovalutato due anni fa dalla Cassazione. A parte le cifre assurde che l’indagato si trova a dover sborsare quando ci sono di mezzo trojan e simili, c’è da dire che la digitalizzazione ha prodotto comunque un aumento generalizzato delle spese a carico del cittadino, legate anche al fatto che, mentre con il cartaceo era possibile copiare anche solo le pagine effettivamente utili alla difesa, ora non si possono più estrapolare le singole parti: se te ne interessa una, devi comunque chiedere l’intero file che la contiene».

Nell’affrontare la spinosa questione, Costa ha potuto avvalersi del supporto dell’Unione Camere penali, e in particolare di Gian Luca Totani, che nell’associazione presieduta da Francesco Petrelli è co-responsabile dell’Osservatorio informatizzazione del processo penale. Nella propria nota, Costa fa alcuni rilievi particolarmente severi: innanzitutto, ricorda, «se non vogliamo che solo chi ha disponibilità economiche possa difendersi prendendo conoscenza degli atti su cui si fondano le accuse, occorre intervenire rapidamente» ma, aggiunge, «non pensiamo che i magistrati di stanza al ministero della Giustizia siano sensibili a questi argomenti: già immaginiamo le obiezioni di bilancio che verranno sollevate, ma si tratta di una battaglia di civiltà giuridica che converrebbe anche a Nordio intestarsi. Dubitiamo che lo farà, visto il trattamento normativo riservato alla presunzione d'innocenza. Al contrario, noi ne faremo un punto qualificante della nostra proposta politica».