La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha confermato la validità della direttiva sui salari minimi adeguati nei Paesi membri, accogliendo solo in parte il ricorso presentato dalla Danimarca, che ne chiedeva l’annullamento integrale. I giudici di Lussemburgo hanno infatti ritenuto fondate solo due obiezioni, cancellando le norme che — secondo la Corte — rappresentavano un’ingerenza diretta nella determinazione delle retribuzioni, materia che resta di competenza nazionale.

La posizione della Danimarca

Il governo danese sosteneva che la direttiva violasse la ripartizione delle competenze tra Bruxelles e gli Stati membri, interferendo nel diritto di associazione e nella determinazione dei salari, aspetti che i Trattati affidano ai singoli Paesi. La Corte, pur riconoscendo parzialmente questa tesi, ha respinto la richiesta di annullamento totale, confermando che la direttiva rientra nelle competenze dell’Unione in materia di condizioni di lavoro e protezione sociale.

La Corte ha ritenuto illegittime le disposizioni che: imponevano agli Stati membri dotati di salario minimo legale di seguire criteri obbligatori nella definizione e nell’aggiornamento dei salari; vietavano la riduzione dei salari minimi legali in caso di indicizzazione automatica prevista dalla normativa nazionale.

Tali articoli, spiega la sentenza, costituivano un’armonizzazione impropria di elementi costitutivi del salario minimo e dunque un’interferenza diretta del diritto dell’Unione in un ambito riservato agli Stati. Per il resto, la direttiva resta pienamente valida.

La Corte ha chiarito che la norma non interferisce nel diritto di associazione, né obbliga gli Stati a imporre l’adesione sindacale o ad ampliare la rappresentanza dei lavoratori. La disposizione sulla «promozione della contrattazione collettiva», al contrario, è ritenuta coerente con le competenze dell’Unione, in quanto incentiva — ma non impone — la partecipazione dei soggetti sociali ai processi di determinazione dei salari.

Secondo la Corte, l’esclusione di competenza dell’Ue in materia retributiva non riguarda tutte le questioni che abbiano un effetto indiretto sulle retribuzioni, ma solo gli interventi che implichino una regolazione diretta dei salari o delle relazioni sindacali. In caso contrario, ha spiegato la Corte, le competenze dell’Unione in materia di condizioni di lavoro rimarrebbero svuotate di significato.