La decisione della Procura di Padova di chiedere nei giorni scorsi la rettifica dell’atto di nascita di una bambina, tramite cancellazione del nominativo del genitore non biologico e il conseguente cambio del cognome, ha scatenato come era facilmente prevedibile accese polemiche.

Nel mirino, in particolare, la pm Valeria Sanzari, che si era attivata successivamente al decreto del Tribunale di Padova con cui era stato rigettato il ricorso di due donne avverso il diniego del comune ad iscrivere la doppia maternità nell’atto di nascita del figlio biologico di una delle due.

Dinanzi al Tribunale, le due donne avevano sostenuto la possibilità di formare in Italia un atto di nascita di un bambino a seguito di tecnica di PMA eterologa praticata all’estero da coppia omoaffettiva femminile, invocando l’applicazione del principio del superiore interesse del minore e confidando in una lettura costituzionalmente orientata della legge 40 del 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita.

Il Tribunale aveva ritenuto non fondato il ricorso, motivando in maniera alquanto dettagliata. La fecondazione eterologa, ricordavano i giudici, non è consentita in Italia per le coppie omoaffettive e tale scelta legislativa ha superato il vaglio di costituzionalità. Il rifiuto del comune di procedere all’annotazione nell’atto di nascita della doppia maternità, poi, non dà luogo ad una difformità tra la situazione di fatto e quella risultante dai registri dello stato civile. Ed infine, non è sufficiente la genitorialità intenzionale, manifestata attraverso il consenso espresso alla tecnica di PMA eterologa, a costituire lo status filiationis tra il nato e il genitore che non ha con esso alcun legame biologico.

La decisione della pm di Padova è stata oggetto di critiche anche da parte dei suoi stessi colleghi, alcuni dei quali hanno invece chiesto l’apertura di una pratica a tutela presso il Consiglio superiore della magistratura ritenendone corretto l’operato.

«Temo situazioni a macchia di leopardo: se vivi a Roma hai due madri, a Padova no, è inaccettabile», aveva dichiarato la giudice Martina Flamini, ora in Cassazione e precedentemente in servizio presso la Sezione famiglia del tribunale di Milano, in una intervista alla Stampa. «Il magistrato non può sostituirsi al legislatore», gli aveva risposto indirettamente la pm milanese Ilaria Perinu, con un lungo intervento sul sito del Centro studi Livatino.

Il “desiderio di genitorialità” attraverso il ricorso alla gestazione per altri, per la Corte Costituzionale “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”, ha ricordato Perinu.

Il tema di fondo, in altre parole, riguarda gli effetti delle pratiche di procreazione medicalmente assistita contrastanti con l’attuale previsione di legge italiana, così come dalla maternità surrogata, facendo sorgere il problema di tutela degli interessi del minore nato per effetto di tali condotte, non potendo certo ricadere su quest’ultimo le conseguenze degli atti commessi dagli adulti in contrasto con la legge italiana vigente.

La Corte Costituzionale, già in passato, aveva sottolineato che su questa materia eticamente sensibile serve l’attenzione del legislatore al fine di individuare “un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana”.

Un qualsiasi intervento della Corte rischierebbe allora di generare “disarmonie nel sistema complessivamente considerato”. Il legislatore, dunque, nell’esercizio della sua discrezionalità, dovrebbe colmare il vuoto di tutela, “a fronte di incomprimibili diritti dei minori”. E’ auspicabile, aveva aggiunto la Corte “una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale”.

Per superare questo stallo, viene in ausilio la sentenza dello scorso anno delle Sezioni Unite civili secondo cui in un caso di maternità surrogata “la tutela degli interessi del minore trova adeguata risposta attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari”.

«La condivisibile affermazione della Procura di Padova è diretta conseguenza del principio della separazione dei poteri, cardine delle democrazie costituzionali, ma spesso viene contestata da chi rivendica un ruolo maggiormente creativo della giurisprudenza a tutela dei nuovi diritti emergenti», ha aggiunto la pm milanese.