Il Consiglio di Stato, Sesta sezione (presidente Sergio De Felice, relatore in camera di consiglio Giovanni Pascuzzi), con l’ordinanza n. 4250/ 2023 del 28 aprile scorso, ha fatto chiarezza su un tema particolarmente significativo: quello dell'oscuramento delle generalità nei provvedimenti pubblicati sul sito della giustizia amministrativa. Nel caso specifico è stata presa in considerazione la richiesta di oscuramento del nome e del cognome, fatta ex post, da un avvocato in riferimento alla attività professionale risultante dagli atti giudiziari. L’ordinanza del Consiglio di Stato è intervenuta sul ricorso proposto da un cittadino contro il ministero della Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (non costituito in giudizio). Il provvedimento è intervenuto in riforma di una sentenza breve del Tar Lazio pronunciata un anno fa.

Nella vicenda affrontata dai giudici di Palazzo Spada l’avvocato della parte appellante ha presentato istanza di oscuramento dei dati personali, adducendo alcune precise motivazioni. La richiesta è stata presentata dal legale in riferimento ad una ulteriore ordinanza, con la quale, in precedenza, era stata rigettata la domanda di sospensione dell’efficacia di una sentenza del Tar Lazio risalente al 2022, con oggetto il diniego di istanza di ammissione all’esame teorico- pratico per poter guidare i cavalli nelle corse al trotto. In quel caso l’ordinanza venne pubblicata sul sito istituzionale della giustizia amministrativa, senza nessun oscuramento delle generalità di eventuali interessati in quanto nessuna richiesta era stata comunicata in tal senso.

Nelle argomentazioni presentate, l’avvocato richiedente l’oscuramento dei propri dati ha posto all’attenzione l’esigenza di tutelare anche la professionalità, fino a quel momento messa in campo, e a non indurre i lettori del provvedimento della giustizia amministrativa a pensare che avesse «commesso un errore professionale, quantunque in ordinanza non si ha il riscontro che la delibazione dell’On. le Consiglio di Stato sia ineccepibile». Proprio da questo punto si snoda l’ordinanza n. 4250/ 2023 del 28 aprile 2023. Per prima cosa il Consiglio di Stato rileva che «in tema di trattamento di dati personali, la richiesta di oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell'interessato riportati sulla sentenza o altro provvedimento, di cui all'articolo 52, comma primo, d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, deve essere fondata su “motivi legittimi”, da intendersi quali “motivi opportuni” la cui valutazione impone un equilibrato bilanciamento tra esigenze di riservatezza del singolo e di pubblicità della sentenza». Viene richiamato a tal riguardo anche un orientamento della Cassazione penale risalente al 2017. Punto cardine su cui si soffermano i magistrati è il momento della richiesta riguardante la persona del difensore, che «è stata proposta successivamente alla pubblicazione del provvedimento perché l’interesse all’oscuramento nascerebbe da considerazioni svolte nella motivazione del provvedimento giurisdizionale».

L’articolo 86 del Codice del processo amministrativo stabilisce che l’indicazione dell’avvocato delle parti (unitamente all’indicazione del giudice adito e del collegio) è uno dei contenuti necessari del provvedimento giurisdizionale. «L’istante – sostengono i giudici di Palazzo Spada - non ha rappresentato motivi legittimi ovvero esigenze meritevoli di tutela considerabili prevalenti rispetto al principio di pubblicità delle sentenze, la quale ultima costituisce un necessitato corollario del principio costituzionale dell'amministrazione della giustizia in nome del popolo». Per definire meglio la questione si precisa un ulteriore tema. «La richiesta – aggiungono i giudici è motivata sulla base di una espressione adottata dal giudice di appello in sede cautelare, per definizione sommaria, che non preclude una diversa valutazione della fondatezza da parte del giudice in sede di approfondimento nel merito e tale frase, prescindendo dalla sua condivisibilità o meno nel merito, non lede i diritti e la dignità del soggetto interessato (nella specie il difensore)».

In conclusione, afferma il Consiglio di Stato, «non è da ritenersi tutelabile l’interesse del difensore ad un oscuramento delle frasi adottate dal giudice in sede cautelare, per fare prevalere l’interesse alla aspettativa dello stesso difensore (non della parte) ad una diversa valutazione in sede di merito circa l’ammissibilità dell’appello».