Come ricordato nei giorni scorsi in una intervista da parte dell’ex ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, la riforma delle intercettazioni voluta dal Guardasigilli Andrea Orlando, che ben si proponeva di introdurre un limite alla loro pubblicazione selvaggia, non sarebbe mai stata applicata fino in fondo.

Appena Carlo Nordio ha annunciato, allora, di volere riscrivere la normativa per meglio tutelare la riservatezza delle persone coinvolte evitando la pubblicazione delle intercettazioni irrilevanti, è stato subito assalito dalla opposizione, dai “soliti” giornali e da alcuni magistrati, per lo più in pensione ma sempre pronti a dare una sponda contro il governo di centro destra.

Tali strali fanno nascere spontanea una domanda: quello in questione è un tema inventato da Nordio oppure costituisce un problema irrisolto da parte della politica nostrana? Proviamo a vedere come stanno realmente le cose.

Nel 1973, la Corte costituzionale con la sentenza numero 34 aveva già sottolineato la necessità di predisporre un sistema a garanzia di tutte le parti in causa per l’eliminazione del materiale non pertinente. Ciò in base al principio secondo cui non può essere acquisito agli atti solo il materiale probatorio rilevante per il giudizio.

Nel 1989, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, l’articolo 268 appositamente dedicato alla materia si limitava a stabilire che “nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate”. La mancanza di un espresso divieto di trascrizione, anche di quelle comunicazioni o conversazioni che in qualche modo potessero essere irrilevanti ai fini delle indagini, è una delle principali cause che ha favorito quel pericoloso corto circuito tra una parte del mondo della magistratura ed un parte del mondo della informazione ben contenta di poter avere a disposizione tutto il materiale intercettato, compreso quello irrilevante soprattutto quando ha riguardato la sfera privati degli uomini pubblici.

Nel 1999, Flick si propose di riscrivere la disciplina sulle intercettazioni il cui testo viene però stravolto e poi abbandonato.

Nel 2007, proprio a seguito di alcune vicende clamorose (si pensi ad esempio alla pubblicazione sul libro nero dell’Espresso in concomitanza con l’inchiesta di Calciopoli dei numeri di telefono degli indagati, oppure alle notizie attinenti alle abitudini sessuali, come nel caso di alcuni processi che vedevano coinvolto Silvio Berlusconi) iniziava a svilupparsi in ambito parlamentare un apposito dibattito per porre un freno sul versante della pubblicazione. La discussione su questi temi confluiva in un apposito provvedimento, noto come ddl Mastella, che tuttavia non portava ad alcun esito a causa dell’ostracismo delle categorie interessate, ovverosia quella dei magistrati e quella dei giornalisti attraverso le loro rappresentanze sindacali.

Nel 2015, in maniera piuttosto clamorosa iniziava un revirement all’interno della stessa magistratura. In particolare, il 17 aprile del 2015, gli allora procuratori della Repubblica di Roma e di Milano, durante una audizione alla Commissione giustizia della Camera dei deputati, si pronunciarono contro la indebita diffusione di intercettazioni irrilevanti acquisiti nell’ambito di un processo penale. Uno dei due procuratori era Edmondo Bruti Liberati che ultimamente, invece, in diversi interventi è stato molto critico contro Nordio.

Nel 2016, questo ripensamento della magistratura sul tema in questione iniziava a fare breccia all’interno del Consiglio superiore della magistratura che, il 29 luglio del 2016, approvava una apposita delibera nella quale veniva affermato il dovere del pubblico ministero titolare delle indagini di compiere il primo delicato compito di filtro nella selezione delle intercettazioni inutilizzabili e irrilevanti per evitarne l’ingiustificata diffusione.

Nel 2017, Orlando, forte della sponda di una parte della magistratura si impossessava del tema recependolo addirittura a livello legislativo. Infatti, con il decreto legislativo numero 216 veniva inserito il comma 2 bis al citato articolo 268 del c.p.p. che al fine di meglio tutelare la riservatezza delle persone coinvolte senza in alcun modo pregiudicare le indagini, introduceva esplicitamente il divieto di trascrivere comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini.

Appena entrata in vigore tale riforma trovava un inaspettato dietro front dei magistrati evidentemente “spaventati” dal punto di forza della riforma, che richiedeva al pubblico ministero un maggior impegno professionale e una costante attenzione selettiva al fine di realizzare una puntuale azione di separazione dell’utile dall’irrilevante.

A tale coro di insoddisfazione della magistratura si univa anche il mondo dell’informazione, evidentemente temendo di non poter più attingere ad una rilevante mole di informazioni che seppur irrilevanti ai fini della indagine penale rimanevano comunque di potenziale interesse e, ciò nonostante, la previsione di segretezza delle stesse.

Nel 2019, il mutato contesto politico e la nuova maggioranza giallorossa portarono a una drastica inversione di rotta rispetto ai principi introdotti nella riforma Orlando. Il 30 dicembre del 2019, per volontà del ministro grillino Alfonso Bonafede veniva approvato il dl numero 161 che metteva nel cassetto la riforma Orlando con due mosse: abolizione del divieto di trascrizione del materiale irrilevante; limitazione del divieto di trascrizione solo a quelle idonee a danneggiare la reputazione dei soggetti intercettati nonché a quelle relative ai dati sensibili.

Nel 2023, e siamo arrivati ai giorni nostri, Nordio ha annunciato di voler intervenire su tale assetto normativo rendendosi evidentemente conto che la riforma Bonafede ha introdotto nel nostro ordinamento una disciplina scarsamente idonea a evitare l’ingresso nei brogliacci di ascolto di comunicazioni che, in seguito, si possono rivelare di nessuna utilità probatoria, ma che nello stesso tempo possono rappresentare una lesione rilevante della privacy delle persone coinvolte. Insomma, una specie di gioco dell’oca che aveva fatto ritornare tutti al punto di partenza, a distanza di quasi mezzo secolo, consentendo alla stampa di pubblicare qualsiasi notizia senza alcun limite, con buona pace del diritto alla riservatezza.