Per valutare l'idoneità del detenuto all'affidamento in prova al servizio sociale, non basta limitarsi alla natura e alla gravità dei reati commessi. Questi rappresentano il punto di partenza per l'analisi della personalità del condannato, ma non possono essere l'unico elemento determinante. Fondamentale è anche la valutazione della condotta successiva e dei comportamenti attuali del detenuto. Questi ultimi sono essenziali per determinare se il condannato sia in un reale percorso di recupero sociale e se il rischio di recidiva sia minimizzato. Con la sentenza numero 18168, la Cassazione ha annullato l'ordinanza di rigetto impugnata dal detenuto e ha disposto un nuovo giudizio da parte del Tribunale di sorveglianza. Il Tribunale, in piena autonomia decisionale, dovrà tenere conto dei rilievi indicati dalla Cassazione.

Il caso in questione riguarda il ricorso presentato da C. D. avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza di Taranto il 9 novembre 2022. Il Tribunale aveva respinto le richieste di affidamento in prova e di semilibertà avanzate da C. D., condannato a quattro anni, un mese e quattordici giorni di reclusione per vari reati. Inoltre, l'ordinanza aveva dichiarato inammissibile la richiesta di detenzione domiciliare per l'entità della pena superiore a due anni. Tramite il suo avvocato Francesco Nevoli, C. D. ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale di sorveglianza fosse errata. Il ricorrente ha denunciato l'erronea applicazione di leggi specifiche e la contraddittorietà della motivazione fornita dal Tribunale.

La Cassazione ha accolto il ricorso, evidenziando che la valutazione per l'affidamento in prova al servizio sociale non può basarsi esclusivamente sulla gravità del reato commesso. I giudici supremi hanno ribadito i principi consolidati in materia: nell'ambito dell'affidamento in prova al servizio sociale, per formulare una prognosi attendibile riguardo al raggiungimento degli obiettivi dell'istituto, sia per quanto concerne l'accoglimento che il rigetto dell'istanza, non possono assumere un rilievo decisivo, né positivo né negativo, elementi quali la gravità del reato per il quale è stata pronunciata la condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza. Allo stesso modo, non è richiesta la prova che il soggetto abbia completato una revisione critica completa del proprio passato; è sufficiente che, dagli esiti dell'osservazione della personalità, emerga che un processo critico del genere sia stato almeno avviato. La Cassazione ha ritenuto necessario considerare anche altri elementi, come la condotta e la situazione attuali del condannato, oltre alla documentazione fornita dagli organi di polizia e dai servizi sociali. La sentenza ribadisce che, pur tenendo conto della tipologia e gravità dei reati commessi, il giudice deve soprattutto valutare il comportamento e la situazione del condannato successivamente ai fatti per cui è stata inflitta la condanna. Questo approccio è essenziale per determinare se il condannato sia in un reale processo di recupero sociale e per valutare il rischio di recidiva.