Il caso Piercamillo Davigo e dei verbali segreti fatti circolare al Csm fa discutere ancora. Dopo la difesa d’ufficio del Fatto Quotidiano, che si è chiesto come mai non fossero stati aperti dei fascicoli per omessa denuncia a carico dei consiglieri informati dell’esistenza della “Loggia Ungheria” (in realtà ce ne sono due, uno a Roma e uno a Perugia), a dare manforte è La Verità che in una lunga (presunta) intervista a Giuseppe Marra - ex consigliere del Csm e indagato a Roma per violazione della pubblica custodia di cose e di omessa denuncia (l’altro indagato è Giuseppe Cascini) - si pone la stessa domanda, cercando di dare però anche una risposta.

E scriviamo presunta perché a smentirla è lo stesso “intervistato”: «Non ho rilasciato alcuna intervista, non sono stato avvisato che la conversazione informale sarebbe stata divulgata come intervista su un quotidiano - ha dichiarato l’ex consigliere al Dubbio -. In tutti i casi in cui ho rilasciato interviste i vari giornalisti mi hanno sempre fatto rileggere le dichiarazioni che avevo espresso. Ho presentato una diffida al quotidiano, ma valuterò un esposto all’ordine dei giornalisti e al Garante della privacy: trovo scorretto quanto accaduto e non mi è mai capitata una cosa del genere. Le cose che dovevo e potevo dire le ho dette davanti al Tribunale di Brescia».

Le dichiarazioni trascritte dal quotidiano si potrebbero riassumere così: nella magistratura ci sarebbe una lotta intestina, dove ad ogni azione corrisponde una reazione. E così il motivo per cui solo Marra e Cascini sono stati iscritti sul registro degli indagati sarebbe una sorta di ritorsione - stando a quanto scritto da La Verità -, poiché gli stessi, per due volte, hanno votato contro il conferimento di un incarico semidirettivo a Nicolò Marino, il magistrato che ha assolto l’ex segretaria di Davigo e contemporaneamente trasmesso alla procura gli atti sulle due toghe, inguaiandole. Roba da far rischiare una querela a Marra, che forse mai si sarebbe lanciato in tali affermazioni se avesse saputo di essere intervistato.

Il ragionamento de La Verità è chiaro: anche gli altri, presidente della Repubblica compreso (informato dal vicepresidente del Csm David Ermini, anche se non si sa bene in che termini), andavano denunciati. Perché, dunque, sono Marra e Cascini gli unici indagati? La ragione sta nel fatto che entrambi sono entrati materialmente in possesso delle copie dei verbali di Amara, secondo quanto ammesso dagli stessi a Brescia. Così come Ermini, che poi li distrusse, rischiando di incappare nello stesso reato contestato a Marra. Ma a salvarlo è stato lo stesso Davigo, che a Brescia ha dichiarato di non aver detto a Ermini che si trattava di atti riservati. Se l’ex pm avesse comunicato tale particolare al numero due di Palazzo dei Marescialli, come chiarito in quella occasione dal presidente del collegio Roberto Spanò, l’udienza sarebbe stata interrotta e gli atti trasmessi alla procura.

Fuori per un soffio, dunque. Tutti gli altri pubblici ufficiali coinvolti da Davigo nell’affaire verbali, invece, non hanno mai ricevuto copia degli stessi, per questo scampando il pericolo di finire sotto indagine. Avrebbero di certo potuto denunciare, come fatto (anche se tardi e su suggerimento di Ardita e Di Matteo) da Nicola Morra, all’epoca presidente della Commissione Antimafia, ma non andò così. E a impedire che un nuovo scandalo si consumasse nel silenzio fu soltanto l’invio di quelle carte a Nino Di Matteo, che svelò tutto in plenum e al procuratore di Perugia, dove andò a denunciare il tutto. Insomma, un bel pasticciaccio. L’ennesimo.